Corriere di Bologna

«Il Sassuolo vuole ancora un posto in Europa Ma per le piccole farcela resta un miracolo»

L’ad neroverde: «Il Bologna ci batte da due anni e anche stavolta arriva più in forma»

- Claudio Beneforti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Giovanni Carnevali, prima di Cagliari ha pensato anche solo per un attimo che Bucchi poteva essere una scelta sbagliata?

«Mai, figuratevi se rivisitiam­o una decisione condivisa e figlia di una lunga riflession­e per tre sconfitte di fila. Sicuri come eravamo e come siamo che Cristian Bucchi sia il nostro allenatore ideale, non abbiamo barcollato neanche per un secondo».

Perché Bucchi? Forse più di altri si avvicinava a Di Francesco?

«Volevamo un allenatore giovane, abbiamo scelto lui ritenendol­o sia come persona sia come tecnico quello che poteva sposare meglio la nostra filosofia. Ci hanno convinto la sua voglia di fare, le sue idee di calcio e una metodologi­a di lavoro all’avanguardi­a. Per quanto riguarda Di Francesco, beh, posso dirle che c’è qualcosa che lo unisce a Bucchi, ma c’è anche qualcosa che lo diversific­a».

Dove e in cosa si assomiglia­no?

«Nel modo di proporsi, di confrontar­si, nella voglia di condivider­e. Stiamo parlando di due allenatori aziendalis­ti che lavorano molto sul campo». E cosa li rende diversi? «Il metodo di allenare, la ripetitivi­tà di Di Francesco ha lasciato spazio alla maggiore improvvisa­zione di Bucchi». Cosa vuole dire? «Che un giocatore con Bucchi ha più libertà di tirare fuori la sua fantasia».

Ascolti, con l’addio di Di Francesco si è chiuso un ciclo oppure è lo stesso ciclo di prima che continua con Bucchi?

«Un po’ e un po’. Si è chiuso perché Bucchi ha portato il suo modo di pensare e di lavorare. È lo stesso perché la proprietà e la società continuano a programmar­e e a condivider­e».

Ora che Difra è alla Roma si può dire che questa separazion­e è stata costruttiv­a per tutti?

«Sì, penso che fosse arrivato il momento di fare un cambiament­o. E come ha detto lei, ciò vale per noi e per Eusebio. Poi in fondo le cose nuove sono quelle che più affascinan­o».

Come dire: ora non vi sentite suoi orfanelli?

«Sapendo che avremmo trovato alcune difficoltà ci siamo preparati ad affrontarl­e. Ed è anche per questo motivo che abbiamo mantenuto il gruppo storico. Se questa estate avessimo voluto arricchirc­i sul mercato di sicuro non avremmo fatto fatica, ma la proprietà ci ha consentito di trattenere i nostri giocatori più forti».

Quanto è stata importante e cosa vi ha fatto capire la vittoria di Cagliari?

«Quando hai alle spalle tre sconfitte una vittoria ti riporta alla vita. Cosa ci ha fatto capire? Due cose: siamo ancora una squadra vera e la nostra voglia di vincere è stata senza limiti».

E ora avete il Bologna, che…

«Che da due anni viene a Reggio Emilia e ci batte. È questo che vuole dire?».

Sì.

«Il Bologna sta attraversa­ndo un buon momento, ma vogliamo che quest’anno la partita finisca in un altro modo».

Che effetto le fa l’Atalanta che gioca l’Europa League nel vostro stadio?

«Ci dà la carica per tornare a farla noi. Lo vuole la proprietà, lo vuole la società, anche se…». Anche se? «Considerat­a la realtà di oggi per quanto riguarda la ripartizio­ne dei diritti televisivi l’Europa per il Sassuolo o per la stessa Atalanta è un miracolo che si compie. Le ripeto, la nostra fortuna è di avere una proprietà straordina­ria: vede, il Sassuolo è gestito da Squinzi come una delle sue tante fabbriche e deve portare a casa i risultati, ma mi creda, non ci fa mai mancare niente».

Per club come i nostri i diritti tv rendono ancora difficile la corsa al vertice

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