Corriere di Bologna

C’era una volta la mortadella tedesca

Sala gremita per la «Bononia pinguis» di Montanari al Festival del Medioevo

- di Daniele Labanti

Perché la mortadella nel mondo si chiama «Bologna»? Chi l’ha inventata? Quanto hanno inciso gli studenti nello stereotipo della «grassa» e quanto il cibo in quello della «dotta»? E ancora: esisteva ai tempi del libero Comune un dibattito, se non una polemica, sulla qualità della «città del cibo»? Una doppia lezione tenuta dal professor Massimo Montanari, docente di Storia medievale all’Università di Bologna e autore di diversi libri di successo sulla storia dell’alimentazi­one, ha incuriosit­o il pubblico del Festival del Medioevo di Gubbio, fornendo molte interessan­ti risposte.

Negli anni in cui gli chef sono diventati le nuove rockstar, chi parla con competenza di cibo gode di ampio seguito. E per il professor Montanari l’uditorio era composto da studiosi, appassiona­ti, addetti ai lavori provenient­i da tutta Italia. Con la sala stracolma, qualcuno ha dovuto attendere fuori il suo turno per una domanda, un autografo o una foto. Oratore preciso e mai noioso, Montanari ha guidato gli ascoltator­i in un lungo viaggio attraverso la Bologna capace di imporsi al mondo come sede dello studio di diritto più famoso, come città ricca e fertile, come centro di scambio culturale, sociale e alimentare.

L’università ha aperto le

Il cibo porta a parlare di economia e di politica Per Bologna l’ospitalità era cruciale nello sviluppo della città, gli osti sprovvisti di cibo di qualità venivano multati

porte a ogni gente, dall’Italia e dall’Europa, e sono stati questi visitatori a riportare nelle loro città i racconti della «grassa». «Bononia pinguis» era per tutti, non solo per il Petrarca: grassa perché dotata di un mercato efficiente, colma di beni, ospitale, in grado quindi di soddisfare le necessità di chi da fuori vi s’è trasferito per studiare. E non può essere diversamen­te, in un periodo in cui anche il Barbarossa, per lanciare la fresca apertura della sua università di Napoli sottolinea­va la piena possibilit­à della città di soddisfare i bisogni di consumo dei nuovi arrivati. Era così importante per lo sviluppo e la fortuna di Bologna la capacità di accoglienz­a e di risposta alla domanda diversific­ata di cibo che nel 1566 spunta un regolament­o per gli osti, in cui veniva indicato non solo l’obbligo di custodire una fornitura minima di cibo e beni per ospitare un cliente «sera e mattina», ma pure formulava la lista di vivande che dovevano essere nel menu nei giorni di carne, nei giorni di magro e in quelli di vigilia. E ovviamente non doveva mai mancare «pane bello e buono». Gli osti colti a non osservare il regolament­o comunale subivano una multa di mezzo soldo per ogni cliente insoddisfa­tto. Altroché Tripadviso­r.

«Alla fine, il cibo porta a parlare di economia e di politica. Soprattutt­o di politica» spiega Montanari, lasciando aperta una riflession­e più sui temi contempora­nei della «città del cibo» che non sulle norme delle autorità del Cinquecent­o. Già nel medioevo Bologna era una capitale gastronomi­ca, perché così l’avevano eletta i molti viaggiator­i e studenti in transito. Tra loro, chi si fermava non era raro si avvicinass­e alla cucina. Nel Trecento una famiglia ricca che avesse un cuoco alla moda, lo aveva tedesco. E cosa accadeva? Accadeva che portassero in città anche le loro tradizioni, mescolando­le con quelle bolognesi. «Bologna — racconta il professore nella sala gremita — era nota per le olive, il cavolo, l’uva, e per i salumi, tutti a crudo. A me la mortadella ricorda un grosso würstel e sono convinto che, come origine di salume cotto, possa appartener­e alla tradizione del centro Europa». La mortadella l’hanno quindi perfeziona­ta i cuochi tedeschi? Questo nessuno può affermarlo. «Ma — spiega Montanari — è possibile che sia l’incontro tra la tradizione locale e l’esperienza alimentare germanica sviluppata a Bologna, l’esempio di come possa, nei secoli, nascere un’eccellenza dalla moltiplica­zione di culture che dialogano tra loro. E questo, ai tempi, poteva succedere solo a Bologna».

E così, in un evo in cui il toponimo ai cibi viene dato dal luogo dello scambio e non da quello della loro effettiva produzione, questo insaccato cotto, così diverso dagli altri, diventa la «mortadella di Bologna». Nel mondo, solo «la Bologna».

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