Il pilastrino, l’omicida, il condannato per mafia e quelle rapine «gentili»
Colpi in banca a volto scoperto. Ma erano professionisti, uno del clan Santapaola: sei arresti
I poliziotti della Mobile li hanno fermati mentre stavano per svaligiare la terza banca in pochi mesi. Li intercettavano da tempo e grazie a una cimice in auto hanno monitorato passo dopo passo il loro ultimo blitz. La banda di sei persone, responsabile di altri colpi, agiva senza armi. Ma nonostante le apparenze tra gli arrestati ci sono personaggi con un curriculum criminale di tutto rispetto. Un affiliato del clan Santapaola, un pugliese d’origine condannato per duplice omicidio e un «pilastrino» già accusato di assalti ai bancomat.
«É bella…questa è da dio…il pacchetto (i soldi,ndr) lo portano sempre lunedì». È il 29 settembre quando la banda di rapinatori di banche passando davanti a un istituto di credito, si sfrega le mani pensando al prossimo colpo. Non sanno che la polizia li sta ascoltando grazie alla cimice nell’auto.
Dopo quattro mesi di intercettazioni ambientali, telefoniche e gps la Squadra mobile di Bologna lunedì scorso ha arrestato in flagranza sei rapinatori di banche mentre stavano per svaligiare la terza filiale in pochi mesi. Poco prima delle 13, i poliziotti della sezione anticrimine guidati da Elena Ceria hanno fatto irruzione nella cassa di risparmio di Ferrara in via Mazzini, dove i due incensurati della banda avevano appena messo piede per portare a segno il colpo. Ben vestiti e senza armi, in sei sono accusati di aver già svaligiato due banche a Bologna: il 14 giugno la banca popolare di Milano in via Dozza (bottino da 100.000 euro), il 28 luglio la cassa di risparmio di Ravenna in via Ferrarese (73.000 euro).
Usavano sempre lo stesso modus operandi: i due incensurati entravano in filiale eleganti e a volto scoperto per non destare sospetti, intimavano a clienti e dipendenti di restare zitti ammassati in una stanza e aspettavano che la cassa temporizzata si aprisse. Gli altri quattro aspettavano fuori a bordo di auto e scooter. Ma il 28 luglio una telecamera riprende una targa e la Mobile si mette sulle loro tracce.In manette con l’accusa di tentata rapina aggravata e ricettazione sono finiti: Carmelo Galeandro, 44enne tarantino ma bolognese d’adozione, Gabriele Ganassi, 42enne bolognese, i siciliani Gabriele Lo Bianco, 35enne, Luigi Grasso, 23enne, Giovanni Fiorenza, di 26 anni e Giuseppe Borchiero, 29enne che dai complici si faceva chiamare «Harry Potter» per la somiglianza con il maghetto.
L’aspetto da gentiluomini con cui entravano in banca e la rinuncia alle armi nascondeva però un passato criminale di tutto rispetto: Galeandro ha scontato 10 anni di carcere per aver ucciso suo cugino e la fidanzata nel ’92 nelle campagne pugliesi nell’ambito di una faida familiare che ha mietuto vittime fino a poco tempo fa. Lo Bianco ha precedenti per rapina, stupefacenti e una condanna per mafia, affiliato al clan di Cosa Nostra Santapaola. Ganassi è esperto scassinatore di bancomat con la tecnica dell’esplosivo appresa alla «scuola dei pilastrini».
Nonostante l’esperienza e le accortezze, come intingere le dita nella colla per non lasciare tracce e comunicare con ricetrasmittenti duranti i colpi, i sei fanno dei passi falsi. Il 29 settembre tentano di rapinare la Banca popolare di Milano in via Firenze ma prima di entrare Grasso e Fiorenza si accorgono di aver scordato la tessera magnetica perché di pomeriggio l’accesso in filiale è consentito solo con bancomat. I poliziotti, pronti a intervenire, ascoltano una conversazione al limite del ridicolo. «Ma perché non si apre senza tessera?» si chiede Grasso, «è colpa nostra compare perché siamo incompetenti» risponde il complice imbufalito. Ci riprovano il 2 ottobre alla filiale di via Mazzini ma dentro trovano uomini e donne della Mobile con armi puntate e manette pronte.