Il tumore al pancreas fa un po’ meno paura L’importanza della diagnosi
Al Sant’Orsola un incontro tra medici e pazienti organizzato da quattro associazioni che operano accanto alle famiglie
Casadei Il policlinico offre un percorso d’eccellenza che coinvolge il paziente in tutte le fasi della malattia, anche grave
Molto diffuso ma poco conosciuto, difficile da diagnosticare ma non per forza letale. Il tumore al pancreas colpisce ogni giorno oltre 1.000 persone, in Italia 13.000 l’anno. Recenti studi hanno evidenziato che entro il 2020 il cancro al pancreas potrebbe diventare la seconda causa di morte per tumore. «Ma ammalarsi di tumore al pancreas non significa per forza morire: si può guarire», spiega Riccardo Casadei, professore associato del dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell’Università di Bologna e coordinatore dell’equipe della Chirurgia del Pancreas del Sant’Orsola.
Il problema è la diagnosi, spesso tragicamente tardiva. «Non ci sono ancora protocolli di screening, come succede con il tumore alla mammella per le donne dopo i quarant’anni d’età, ad esempio. E questo perché non è possibile identificare delle popolazioni a rischio, se non quelle con una familiarità a questo tipo di tumore: nel caso abbia colpito due o più parenti stretti, bisogna essere seguiti di più». Purtroppo il tumore del pancreas in fase precoce non dà segni particolari e anche quando sono presenti sintomi, si tratta di disturbi piuttosto vaghi, troppo spesso interpretati in modo errato. «Si manifestano tardivamente, con un dolore dorso lombare (un banale male alla schiena) o con l’insorgenza all’improvviso del diabete». Se il tumore attacca la testa del pancreas, anche il colore della pelle, giallastro, può aiutare a riconoscerlo. «Qui al policlinico, c’è un approccio diagnostico-terapeutico di livello: il paziente viene coinvolto in un percorso di diagnosi, terapia, sorveglianza nutrizionale e psicologica in tutte le fasi della malattia». In pochi ne sono a conoscenza. «E invece abbiamo bisogno di far sapere ai malati e ai loro familiari che esistono strutture come la nostra che offrono un percorso d’eccellenza e che di tumore al pancreas non per forza si muore». Anche nel caso peggiore, «di adenocarcinoma duttale, se la diagnosi è precoce, abbiamo percentuali di sopravvivenza che un tempo si fermavano al 5% e oggi si attestano al 20-30%: non è poco». Bisogna rivolgersi, però, a centri specializzati. E tra le eccellenze, in Italia, ci sono il Sant’Orsola di Bologna, l’Humanitas e il San Raffaele di Milano, il Cisanello di Pisa, il Borgo Roma di Verona.
Le associazioni Nastro Viola, Oltre la Ricerca, My Everest e la Fondazione Nadia Valsecchi, che operano sul territorio italiano accanto ai malati e alle loro famiglie, sono al lavoro per sensibilizzare l’opinione pubblica. E in occasione della Quarta giornata mondiale per la lotta al tumore al pancreas hanno organizzato per giovedì 16 novembre una tavola rotonda all Sant’Orsola (padiglione 5, ala H, secondo piano, inizio lavori ore 15). Oltre agli interventi dei medici, ci sarà modo di scoprire le storie dei pazienti e di chi assiste malati in un percorso di guarigione o di terapia del dolore.
L’appuntamento si potrà seguire anche in streaming collegandosi al sito: giornatamondialetumorepancreas.org.