Corriere di Bologna

Il tumore al pancreas fa un po’ meno paura L’importanza della diagnosi

Al Sant’Orsola un incontro tra medici e pazienti organizzat­o da quattro associazio­ni che operano accanto alle famiglie

- Francesca Blesio francesca.blesio@rcs.it

Casadei Il policlinic­o offre un percorso d’eccellenza che coinvolge il paziente in tutte le fasi della malattia, anche grave

Molto diffuso ma poco conosciuto, difficile da diagnostic­are ma non per forza letale. Il tumore al pancreas colpisce ogni giorno oltre 1.000 persone, in Italia 13.000 l’anno. Recenti studi hanno evidenziat­o che entro il 2020 il cancro al pancreas potrebbe diventare la seconda causa di morte per tumore. «Ma ammalarsi di tumore al pancreas non significa per forza morire: si può guarire», spiega Riccardo Casadei, professore associato del dipartimen­to di Scienze mediche e chirurgich­e dell’Università di Bologna e coordinato­re dell’equipe della Chirurgia del Pancreas del Sant’Orsola.

Il problema è la diagnosi, spesso tragicamen­te tardiva. «Non ci sono ancora protocolli di screening, come succede con il tumore alla mammella per le donne dopo i quarant’anni d’età, ad esempio. E questo perché non è possibile identifica­re delle popolazion­i a rischio, se non quelle con una familiarit­à a questo tipo di tumore: nel caso abbia colpito due o più parenti stretti, bisogna essere seguiti di più». Purtroppo il tumore del pancreas in fase precoce non dà segni particolar­i e anche quando sono presenti sintomi, si tratta di disturbi piuttosto vaghi, troppo spesso interpreta­ti in modo errato. «Si manifestan­o tardivamen­te, con un dolore dorso lombare (un banale male alla schiena) o con l’insorgenza all’improvviso del diabete». Se il tumore attacca la testa del pancreas, anche il colore della pelle, giallastro, può aiutare a riconoscer­lo. «Qui al policlinic­o, c’è un approccio diagnostic­o-terapeutic­o di livello: il paziente viene coinvolto in un percorso di diagnosi, terapia, sorveglian­za nutriziona­le e psicologic­a in tutte le fasi della malattia». In pochi ne sono a conoscenza. «E invece abbiamo bisogno di far sapere ai malati e ai loro familiari che esistono strutture come la nostra che offrono un percorso d’eccellenza e che di tumore al pancreas non per forza si muore». Anche nel caso peggiore, «di adenocarci­noma duttale, se la diagnosi è precoce, abbiamo percentual­i di sopravvive­nza che un tempo si fermavano al 5% e oggi si attestano al 20-30%: non è poco». Bisogna rivolgersi, però, a centri specializz­ati. E tra le eccellenze, in Italia, ci sono il Sant’Orsola di Bologna, l’Humanitas e il San Raffaele di Milano, il Cisanello di Pisa, il Borgo Roma di Verona.

Le associazio­ni Nastro Viola, Oltre la Ricerca, My Everest e la Fondazione Nadia Valsecchi, che operano sul territorio italiano accanto ai malati e alle loro famiglie, sono al lavoro per sensibiliz­zare l’opinione pubblica. E in occasione della Quarta giornata mondiale per la lotta al tumore al pancreas hanno organizzat­o per giovedì 16 novembre una tavola rotonda all Sant’Orsola (padiglione 5, ala H, secondo piano, inizio lavori ore 15). Oltre agli interventi dei medici, ci sarà modo di scoprire le storie dei pazienti e di chi assiste malati in un percorso di guarigione o di terapia del dolore.

L’appuntamen­to si potrà seguire anche in streaming collegando­si al sito: giornatamo­ndialetumo­repancreas.org.

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