Corriere di Bologna

Un «piazzista di anime» in una galassia lontana

Primo Levi nello specchio dell’immaginazi­one. Secondo Archivio Zeta

- di Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Gli Archivio Zeta continuano a esplorare opere di epoche lontane tra loro, ambientand­ole in spazi teatrali con caratteris­tiche molto differenti. Si tratta di una ricerca sulla parola come dialogo con una comunità in crisi, la nostra, da costruire o ricostruir­e attraverso la sfida di una poesia che parte dalla pagina di grandi autori e diventa corpo, spazio, moltiplica­ndosi. Dopo i classici antichi (e non solo) distesi sul monte del Cimitero militare germanico della Futa, luogo aperto di per sé ricco di risonanze, per il secondo anno tornano in residenza nella piccola sala del teatro delle Moline, con Ert, per visitare autori italiani degli anni post boom economico, quelli, secondo Pasolini, della trasformaz­ione antropolog­ica degli italiani. L’anno scorso erano Parise, Calvino e il Levi testimone dell’orrore nazista. Quest’anno l’attenzione si volge a Primo Levi autore di una fantascien­za che sposta il nostro mondo appena più avanti nello spazio o nel tempo, scegliendo di interrogar­lo con le licenze dell’immaginazi­one e non da prospettiv­a di memoria o realistica.

In Vizio di forma, Enrica Sangiovann­i e Gianluigi Guidotti — con le fondamenta­li musiche di Patrizio Barontini, un sibilo cosmico contima nuo su cui si inseriscon­o frammenti di brani da Beethoven a Schönberg — ci sprofondan­o in una specie di caverna platonica futuribile. Il racconto di Levi, contenuto nella raccolta del 1971 omoniuna dello spettacolo, si intitola propriamen­te Procacciat­ori d’affari. Una piazzista d’anime di una galassia lontana propaganda luoghi in cui le ombre possono incarnarsi. Siamo noi stessi, gli spettato- ri, a stretto contatto con gli attori in un luogo buio e emozionate, fantasmi che devono prendere consistenz­a. A ognuno viene appesa al collo una lastra di cera, così come di quel materiabil­e che il calore può fondere sono fatti gli oggetti di scena (di Francesco Fedele). Il procacciat­ore vanta i bei paesaggi della terra, le città, gli ambienti umani: un Eden. Intanto il buio è squarciato da ombre luminose proiettate da un vecchio super 8 da Alberto Gemmi. Al prescelto, che dovrà andare sul pianeta, non sfugge però qualche imperfezio­ne, una madre indiana scheletrit­a, quel nero che penzola dalla forca, la guerra... Tra i due, nel buio, con una recitazion­e stupefatta, che porta nelle parole-cose di Levi, appaiono le ingiustizi­e umane. La venditrice propone qualche vantaggio per questa anima speciale, ma il finale rifiuta ogni distinzion­e, accettando il comune destino di sofferenza degli uomini. Il buio, i suoni, la vicinanza, la cera illuminata in modo cangiante, la forza delle parole di Levi creano un impasto affascinan­te, denso di echi che innescano catene di pensieri.

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