Corriere di Bologna

L’alcol, veleno sottile della giovinezza

- di Gabriele Bronzetti

L’alcol è il potente lubrifican­te sociale che olia gli ingranaggi dell’happy hour di strada e dei più privati party altolocati. Scioglie lingue timide, maschera agguati sentimenta­li, crea alibi e ambiguità. Un filo funziona. Una goccia in più è già troppo perché non fa scivolare solo chi beve ma anche chi dovrebbe aiutarlo, spianando la strada a malintenzi­onati dai guanti di velluto. La cronaca parla di abusi dove le vittime — sempliceme­nte alticce o in coma etilico — sono preda di balordi o criminali nei luoghi più disperati: in discoteca, in treno, nell’astanteria di un pronto soccorso. Il metabolism­o dell’etanolo dipende da un enzima presente soprattutt­o nel fegato, l’alcol-deidrogena­si. I giovani e le donne difettano di questo enzima e può bastare poco per causare in loro ebbrezza patologica o coma etilico. Il desiderio di socializza­re con la giusta disinibizi­one è umano, ma la via alcolica come tutte le vie chimiche rapide è la più deleteria, quella che alla fine divide e annienta. E non c’è bisogno di arrivare alle dosi da «sballo». Un adulto di spirito nobile non può restare indifferen­te davanti a un giovane che beve e invece di passargli la bottiglia dovrebbe shakerare catalizzat­ori sociali, molecole che innescano le reazioni di aggregazio­ne e che poi si fanno da parte. Siano canzoni, idee, visioni ma non etanolo, soprattutt­o nei veloci anni in prestito della giovinezza.

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