L’alcol, veleno sottile della giovinezza
L’alcol è il potente lubrificante sociale che olia gli ingranaggi dell’happy hour di strada e dei più privati party altolocati. Scioglie lingue timide, maschera agguati sentimentali, crea alibi e ambiguità. Un filo funziona. Una goccia in più è già troppo perché non fa scivolare solo chi beve ma anche chi dovrebbe aiutarlo, spianando la strada a malintenzionati dai guanti di velluto. La cronaca parla di abusi dove le vittime — semplicemente alticce o in coma etilico — sono preda di balordi o criminali nei luoghi più disperati: in discoteca, in treno, nell’astanteria di un pronto soccorso. Il metabolismo dell’etanolo dipende da un enzima presente soprattutto nel fegato, l’alcol-deidrogenasi. I giovani e le donne difettano di questo enzima e può bastare poco per causare in loro ebbrezza patologica o coma etilico. Il desiderio di socializzare con la giusta disinibizione è umano, ma la via alcolica come tutte le vie chimiche rapide è la più deleteria, quella che alla fine divide e annienta. E non c’è bisogno di arrivare alle dosi da «sballo». Un adulto di spirito nobile non può restare indifferente davanti a un giovane che beve e invece di passargli la bottiglia dovrebbe shakerare catalizzatori sociali, molecole che innescano le reazioni di aggregazione e che poi si fanno da parte. Siano canzoni, idee, visioni ma non etanolo, soprattutto nei veloci anni in prestito della giovinezza.