«NAPOLIDE» RACCONTI DAL VESUVIO
Domani alle 21 al Teatro Ridotto di Lavino di Mezzo lo scrittore Erri De Luca e l’attrice Lina Della Rocca rievocheranno i ricordi che li legano alla loro città di origine. Un omaggio a Napoli e ai suoi figli (anche adottivi): De Filippo, Totò, Giancarlo
Napoli amata, Napoli odiata, Napoli unica, Napoli abbandonata. Alla città distesa tra il Vesuvio e il mare è dedicato «Napolide», uno spettacolo fuori dall’usuale, domani al Teatro Ridotto di Lavino di Mezzo alle 21 (349/7468384). Torna un vecchio amico dello spazio di Renzo Filippetti, lo scrittore Erri De Luca, e dialoga con l’attrice simbolo della compagnia, Lina Della Rocca. Entrambi racconteranno la loro città d’origine, Napoli appunto.
Lo scrittore, il traduttore della Bibbia, il poeta raffinato, proveniente da una famiglia borghese, l’abbandonò in anni lontani per reagire a un ambiente soffocante. L’attrice, figlia di un calzolaio e di una orlatrice di scarpe, evocherà altri quartieri, altre esperienze, come quella di salutare il padre emigrante disperdendo al vento un soffione, oppure quella di portare le offerte al cimitero delle Fontanelle, sede di un culto popolare per anime di morti senza nome, vittime della peste, che venivano curati dalle famiglie della zona. Poi parlerà di dialetto e di caffè sospesi, pagati per i poveri della zona da chi può permetterselo.
De Luca, che da poco ha pubblicato con Feltrinelli «Diavoli custodi», ha intitolato uno dei testi più amati dalla numerosa tribù dei suoi lettori «Napolide» (2006). Là, parlando della sua natura apolide, si presenta come «uno che si è raschiato dal corpo l’origine, per consegnarsi al mondo». Ma quella città crogiolo non è facile da abradere, così le sue memorie tante volte tornano nell’opera dell’autore che ha attraversato, per desiderio d’esperienza, cento mestieri, l’operaio, il camionista, il cesellatore di parole, che ha militato in Lotta Continua, che ama la solitudine, la campagna, l’alpinismo.
Napoli è per De Luca le commedie di Eduardo De Filippo, il libeccio del molo di Mergellina, il calcio, i vicoli, Maradona, Totò e Siani, il cronista ucciso dalla camorra. È «l’odore del ragù, i panni stesi, il gusto di catrame arrosto ingentilito di salsedine nel vento di mare. Napoli mi ha addestrato i sensi».
Napoli è l’ira del maestro delle elementari, le voci perfettamente udibili dei racconti a voce alta sentiti nell’infanzia, un’infanzia acustica in cui«l’udito era l’organo maestro». Napoli è una crosta sul vuoto e sulla lava. Napoli è notte: «È bella di notte la città. C’è pericolo ma pure libertà. Ci girano quelli senza sonno, gli artisti, gli assassini, i giocatori, stanno aperte le osterie, le friggitorie, i caffè. Ci si saluta, ci si conosce, tra quelli che campano di notte. Le persone perdonano i vizi. La luce del giorno accusa, lo scuro della notte dà l’assoluzione».