LA FRONTIERA INTELLETTUALE
In Emilia-Romagna le imprese tornano a investire all’attacco, innovando i prodotti per entrare in nuovi mercati, non per trincerarsi in difesa riducendo i costi. E una volta sul veicolo dell’Industria 4.0, si potrà spingere fino in fondo sui progetti che rivoluzionano il modo di fare impresa, coniugando gli investimenti materiali (in impianti, macchine e attrezzature arricchite dalle tecnologie digitali) con gli investimenti nelle attività intangibili, quali la ricerca e sviluppo, il software, le banche dati, le creazioni artistiche, il design, i marchi e i processi aziendali. Le opportunità, infatti, si allargano proprio scommettendo sulle idee che, pur se protette, circolano liberamente, recando vantaggi anche a persone e gruppi diversi dagli scopritori.
Sulla fondamentale frontiera dell’«attività intellettuale», purtroppo, l’Italia non primeggia. In percentuale del Pil, gli investimenti tangibili sono circa il doppio di quelli immateriali, quasi come in Germania. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, invece, questi ultimi hanno sopravanzato i primi. In Francia, sono alla pari.
Nella nostra regione sono uscite dal tunnel della crisi le imprese che hanno accettato e vinto la sfida della discontinuità tra l’universo industriale di ieri e il nuovo all’orizzonte. Ora è maturo il tempo per riforme rivoluzionarie da attuarsi nel mondo dell’istruzione che è preziosa sorgente di idee per l’imprenditorialità in movimento. In prima linea c’è Bologna la cui università fondata nel 1088 ha dato un’impronta assolutamente innovativa agli studi superiori e avanzati che si sono poi sviluppati nel corso del secondo millennio.
Sulla strada da imboccare ha ancora molto da suggerirci Luigi Einaudi, grande pensatore rivoluzionario e utopista. Basta qui citare solo uno dei tanti spunti tratti dalle sue «Prediche inutili» per tracciare il percorso di un moto intellettuale di profondo cambiamento dell’università che potrebbe o addirittura dovrebbe partire da Bologna. Un movimento innescato dal disfarsi del mito del valore legale del titolo di studi che — scriveva Einaudi — crea «disoccupati intellettuali». Parafrasando un suo pensiero, potremmo dire che non hanno bisogno di un bollo statale i giovani usciti dalle botteghe rinascimentali dell’Industria 4.0. Ciò che si richiede non è il valore legale dichiarato dallo Stato, «ma disordine, varietà, mutabilità, alegalità dei diplomi rilasciati dall’università».