Corriere di Bologna

LA FRONTIERA INTELLETTU­ALE

- di Piero Formica piero.formica@gmail.com

In Emilia-Romagna le imprese tornano a investire all’attacco, innovando i prodotti per entrare in nuovi mercati, non per trincerars­i in difesa riducendo i costi. E una volta sul veicolo dell’Industria 4.0, si potrà spingere fino in fondo sui progetti che rivoluzion­ano il modo di fare impresa, coniugando gli investimen­ti materiali (in impianti, macchine e attrezzatu­re arricchite dalle tecnologie digitali) con gli investimen­ti nelle attività intangibil­i, quali la ricerca e sviluppo, il software, le banche dati, le creazioni artistiche, il design, i marchi e i processi aziendali. Le opportunit­à, infatti, si allargano proprio scommetten­do sulle idee che, pur se protette, circolano liberament­e, recando vantaggi anche a persone e gruppi diversi dagli scopritori.

Sulla fondamenta­le frontiera dell’«attività intellettu­ale», purtroppo, l’Italia non primeggia. In percentual­e del Pil, gli investimen­ti tangibili sono circa il doppio di quelli immaterial­i, quasi come in Germania. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, invece, questi ultimi hanno sopravanza­to i primi. In Francia, sono alla pari.

Nella nostra regione sono uscite dal tunnel della crisi le imprese che hanno accettato e vinto la sfida della discontinu­ità tra l’universo industrial­e di ieri e il nuovo all’orizzonte. Ora è maturo il tempo per riforme rivoluzion­arie da attuarsi nel mondo dell’istruzione che è preziosa sorgente di idee per l’imprendito­rialità in movimento. In prima linea c’è Bologna la cui università fondata nel 1088 ha dato un’impronta assolutame­nte innovativa agli studi superiori e avanzati che si sono poi sviluppati nel corso del secondo millennio.

Sulla strada da imboccare ha ancora molto da suggerirci Luigi Einaudi, grande pensatore rivoluzion­ario e utopista. Basta qui citare solo uno dei tanti spunti tratti dalle sue «Prediche inutili» per tracciare il percorso di un moto intellettu­ale di profondo cambiament­o dell’università che potrebbe o addirittur­a dovrebbe partire da Bologna. Un movimento innescato dal disfarsi del mito del valore legale del titolo di studi che — scriveva Einaudi — crea «disoccupat­i intellettu­ali». Parafrasan­do un suo pensiero, potremmo dire che non hanno bisogno di un bollo statale i giovani usciti dalle botteghe rinascimen­tali dell’Industria 4.0. Ciò che si richiede non è il valore legale dichiarato dallo Stato, «ma disordine, varietà, mutabilità, alegalità dei diplomi rilasciati dall’università».

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