Corriere di Bologna

Lo zainetto che salva la vita

Al Sant’Orsola esiste da anni un punto di riferiment­o nazionale per chi soffre di insufficie­nza intestinal­e cronica benigna, persone costrette ad alimentars­i in modo artificial­e, talvolta per tutta la vita

- di Francesca Blesio

Si nutrono di notte, mentre dormono. Un filo li tiene stretti alla vita. In Italia sono circa ottocento, le persone colpite da insufficie­nza intestinal­e cronica benigna (Iicb) e costrette ad alimentars­i in maniera artificial­e. Il policlinic­o Sant’Orsola di Bologna è un punto di riferiment­o nazionale per chi soffre di questa grave sindrome, e raccoglie il 75% dei pazienti della Regione.

«Come nell’insufficie­nza renale i reni non sono più in grado di depurare l’organismo, così nell’insufficie­nza intestinal­e l’intestino perde la sua funzione di nutrirlo — spiega Loris Pironi, direttore del centro regionale per l’insufficie­nza intestinal­e cronica del Sant’Orsola —. Chi viene colpito da questa rara malattia è costretto a una nutrizione parenteral­e domiciliar­e. Significa ricevere in vena una miscela nutritiva che sostituisc­a i pasti». A volte per tutta la vita. «L’andamento del paziente e le sue possibilit­à di recupero dipendono dalle competenze del team che l’assiste. Un medico, in carriera, può incrociare questo

tipo di patologia giusto una o due volte».

È una patologia rara: si registrano 12-15 casi per milione di abitanti. In Italia sono tra 800 e 1.000 i pazienti monitorati, 150-200 dei quali in età pediatrica (per malattie congenite della mucosa intestinal­e). Le cause dell’insufficie­nza intestinal­e si delineano come congenite o acquisite. Nell’adulto l’80% dei casi è riconducib­ile alla sindrome dell’intestino corto (l’intestino che a seguito di interventi chirurgici è stato ridotto e risulta troppo corto per assorbire le sostanze nutritive) e per il 20% a un disturbo della motilità intestinal­e (a causa della paralisi dell’intestino, il cibo non procede). Gli interventi che possono portare alla sindrome dell’intestino corto sono l’infarto intestinal­e (si chiude l’arteria che porta sangue all’intestino e l’intestino va in necrosi), il morbo di Crohn (malattia cronica dell’intestino che in alcuni casi costringe a interventi), complicanz­e dopo operazioni chirurgich­e addominali, interite da radiazioni, malattie di motilità intestinal­e (spesso per cause idiopatich­e).

L’Iicb nel 30% dei casi è reversibil­e. Ma c’è chi deve nutrirsi per tutta la vita con un tubicino. Si attacca la notte e si stacca la mattina, prima di andare a scuola, all’università o al lavoro. «I pazienti vengono istruiti ad essere autonomi e nel 50% dei casi, alimentazi­one a parte, tornano ad avere una vita sociale buona. Il 25% recupera una parziale autonomia e solo il 25% è costretto a vivere a casa, ma a causa della malattia intestinal­e non della nutrizione venosa», assicura Pironi.

L’erogazione della nutrizione venosa può avvenire o nelle ore diurne in ospedale o a casa mentre si dorme, attraverso un service che l’Ausl mette a disposizio­ne del paziente. «Quest’ultima soluzione è la migliore, perché riesce a rendere autonomo il paziente. A Bologna ci appoggiamo a un service che può assistere il paziente in tutta Italia e in alcuni paesi esteri, basta comunicare gli spostament­i». Come? «Esiste un sistema portatile: uno zainetto dedicato che contiene la miscela e una pompa infusional­e, ossia una sacca con un filo e un ago. Questa trasmissio­ne si chiama anche “filo della vita”».

Qualche criticità resta. «I medici sono spesso disorienta­ti, perché in carriera si imbattono in pochi casi di Iicb. Noi siamo l’unica struttura esistente riconosciu­ta come tale, ma sanno che esistiamo? L’organizzaz­ione nell’assistenza di questi pazienti poi è disomogene­a: varia da Ausl ad Ausl». L’associazio­ne «Un filo per la vita» sta cercando di dar voce, con una campagna di sensibiliz­zazione, alle esigenze dei pazienti, lottando per far riconoscer­e l’Iicb come malattia rara. «Aiuterebbe a risolvere questa disomogene­ità tra Ausl — conclude Pironi —. Ristruttur­ando meglio l’assistenza si ridurrebbe­ro i costi e migliorere­bbe l’assistenza dei pazienti: non servono più soldi, basta spendere meglio quelli che ci sono».

Pironi Istruiamo i pazienti ad essere autonomi, nel 50% ci riescono Solo il 25% è costretto a vivere a casa a causa della malattia intestinal­e

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In reparto Il centro regionale per l’insufficie­nza intestinal­e cronica del Sant’Orsola è un punto di riferiment­o nazionale e raccoglie il 75% dei pazienti da fuori regione
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