Lo zainetto che salva la vita
Al Sant’Orsola esiste da anni un punto di riferimento nazionale per chi soffre di insufficienza intestinale cronica benigna, persone costrette ad alimentarsi in modo artificiale, talvolta per tutta la vita
Si nutrono di notte, mentre dormono. Un filo li tiene stretti alla vita. In Italia sono circa ottocento, le persone colpite da insufficienza intestinale cronica benigna (Iicb) e costrette ad alimentarsi in maniera artificiale. Il policlinico Sant’Orsola di Bologna è un punto di riferimento nazionale per chi soffre di questa grave sindrome, e raccoglie il 75% dei pazienti della Regione.
«Come nell’insufficienza renale i reni non sono più in grado di depurare l’organismo, così nell’insufficienza intestinale l’intestino perde la sua funzione di nutrirlo — spiega Loris Pironi, direttore del centro regionale per l’insufficienza intestinale cronica del Sant’Orsola —. Chi viene colpito da questa rara malattia è costretto a una nutrizione parenterale domiciliare. Significa ricevere in vena una miscela nutritiva che sostituisca i pasti». A volte per tutta la vita. «L’andamento del paziente e le sue possibilità di recupero dipendono dalle competenze del team che l’assiste. Un medico, in carriera, può incrociare questo
tipo di patologia giusto una o due volte».
È una patologia rara: si registrano 12-15 casi per milione di abitanti. In Italia sono tra 800 e 1.000 i pazienti monitorati, 150-200 dei quali in età pediatrica (per malattie congenite della mucosa intestinale). Le cause dell’insufficienza intestinale si delineano come congenite o acquisite. Nell’adulto l’80% dei casi è riconducibile alla sindrome dell’intestino corto (l’intestino che a seguito di interventi chirurgici è stato ridotto e risulta troppo corto per assorbire le sostanze nutritive) e per il 20% a un disturbo della motilità intestinale (a causa della paralisi dell’intestino, il cibo non procede). Gli interventi che possono portare alla sindrome dell’intestino corto sono l’infarto intestinale (si chiude l’arteria che porta sangue all’intestino e l’intestino va in necrosi), il morbo di Crohn (malattia cronica dell’intestino che in alcuni casi costringe a interventi), complicanze dopo operazioni chirurgiche addominali, interite da radiazioni, malattie di motilità intestinale (spesso per cause idiopatiche).
L’Iicb nel 30% dei casi è reversibile. Ma c’è chi deve nutrirsi per tutta la vita con un tubicino. Si attacca la notte e si stacca la mattina, prima di andare a scuola, all’università o al lavoro. «I pazienti vengono istruiti ad essere autonomi e nel 50% dei casi, alimentazione a parte, tornano ad avere una vita sociale buona. Il 25% recupera una parziale autonomia e solo il 25% è costretto a vivere a casa, ma a causa della malattia intestinale non della nutrizione venosa», assicura Pironi.
L’erogazione della nutrizione venosa può avvenire o nelle ore diurne in ospedale o a casa mentre si dorme, attraverso un service che l’Ausl mette a disposizione del paziente. «Quest’ultima soluzione è la migliore, perché riesce a rendere autonomo il paziente. A Bologna ci appoggiamo a un service che può assistere il paziente in tutta Italia e in alcuni paesi esteri, basta comunicare gli spostamenti». Come? «Esiste un sistema portatile: uno zainetto dedicato che contiene la miscela e una pompa infusionale, ossia una sacca con un filo e un ago. Questa trasmissione si chiama anche “filo della vita”».
Qualche criticità resta. «I medici sono spesso disorientati, perché in carriera si imbattono in pochi casi di Iicb. Noi siamo l’unica struttura esistente riconosciuta come tale, ma sanno che esistiamo? L’organizzazione nell’assistenza di questi pazienti poi è disomogenea: varia da Ausl ad Ausl». L’associazione «Un filo per la vita» sta cercando di dar voce, con una campagna di sensibilizzazione, alle esigenze dei pazienti, lottando per far riconoscere l’Iicb come malattia rara. «Aiuterebbe a risolvere questa disomogeneità tra Ausl — conclude Pironi —. Ristrutturando meglio l’assistenza si ridurrebbero i costi e migliorerebbe l’assistenza dei pazienti: non servono più soldi, basta spendere meglio quelli che ci sono».
Pironi Istruiamo i pazienti ad essere autonomi, nel 50% ci riescono Solo il 25% è costretto a vivere a casa a causa della malattia intestinale