Classici, onirici. Gli italiani di Parigi
Si apre oggi a Santa Maria della Vita l’esposizione di Genus Bononiae «René Paresce. Italiani a Parigi. Campigli, de Chirico, de Pisis, Savinio, Severini, Tozzi» con 73 opere selezionate che raccontano la «sfida» di questi artisti nell’ambiente francese
La tradizione italiana reinterpretata in dimensione classica e onirica. Al Museo di Santa Maria della Vita si ripercorre in oltre 70 opere la storia di Renè Paresce e del gruppo degli «Italiens de Paris» che sfidavano l’arte francese come Campigli, De Chirico, de Pisis, Savinio, Severini e Tozzi.
Nel gruppo de Les Italiens de Paris, con Campigli, Severini, de Pisis, Mario Tozzi, de Chirico e il fratello Alberto Savinio, che tra gli anni 20 e 30 del secolo scorso sperimentavano in Francia nuove tecniche, c’era anche lui. Anche se di René Paresce ci si era dimenticati frettolosamente, almeno sino alla pubblicazione di un catalogo generale a lui dedicato a cura di Rachele Ferrario. Eppure Paresce, nato nel 1886 e vissuto a contatto con il salotto culturale positivista del padre a Firenze, è stato con Savinio l’anima intellettuale del gruppo, «corteggiato dal fascismo e che dal fascismo si fece corteggiare», sottolinea la stessa Ferrario. Ora una mostra, pensata appositamente per gli spazi del Museo e dell’Oratorio di Santa Maria della Vita, in via Clavature 8/10, ripropone le opere di Paresce. Laureato in Fisica a Palermo senza peraltro mai seguire la carriera scientifica, corrispondente da Londra per La Stampa e orgogliosamente autodidatta come pittore. René Paresce. Italiani a Parigi. Campigli, de Chirico, de Pisis, Savinio, Severini, Tozzi, da oggi al 25 febbraio, ripercorre grazie a 73 opere selezionate dalla curatrice Rachele Ferrario il ruolo del gruppo di artisti italiani. Con opere provenienti da varie collezioni pubbliche, approfondendo la figura di Paresce con suoi dipinti e disegni preparatori. «Con del vero fo’ del falso», questa la provocazione del fisico-pittore che già negli anni 10 a Parigi frequentava Picasso e Modigliani. Paresce però morirà a soli 51 anni nella capitale francese, primo dell’eterogenea compagnia di connazionali trasferiti in Francia, dopo essere tornato da viaggi nelle Figi e in America. La prematura scomparsa gli impedirà di assistere alla dissoluzione degli Italiens de Paris. «Sono anni che cerco di far uscire mio zio dall’oscurità in cui era precipitato, un po’ perché non aveva un carattere facile ma anche perché rifuggiva i galleristi e non amava le accademie», racconta Francesco Paresce, anche lui fisico di statura internazionale, che ha lavorato per le missioni spaziali della Nasa. Lo scienziato è nipote anche di Guglielmo Marconi, visto che la madre era la primogenita dell’inventore, e ha voluto che la prima mostra di René Paresce fosse proprio a Bologna. «Un po’ — continua — perché mio nonno era di qui, così come mia moglie. E poi sembra che a Bologna mio zio avesse fatto un’esposizione». Ma se pure Paresce, come rileva il critico d’arte Enrico Crispolti, «si muoveva verso la dimensione metafisica che dialoga con il surrealismo», nel catalogo Bup da lei curato la Ferrario ricorda che Paresce cercava «nella pittura la verità che la scienza non gli poteva dare». Da qui «il desiderio di costruire nuovi mondi, di creare narrazioni e leggende in costante evoluzione». «Oggi sappiamo dalla fisica — osserva Francesco Paresce — che la realtà non è quella che noi crediamo, una posizione che in René c’era già». Come si può ricavare da una sua celebre affermazione che definiva la scienza come «una favolosa turlupinatrice». L’esposizione proposta da Genus Bononiae si è avvalsa anche di sofisticate indagini diagnostiche su materiali utilizzati e tecniche usate e sarà accompagnata da conferenze, tra gli altri, di Aldo Cazzullo, Corrado Augias e Paolo Valesio. «Una mostra — sottolinea Fabio Roversi Monaco, presidente di Genus Bononiae — che non è una giustapposizione di opere anche belle, ma consente di approfondire la visione di ogni singolo quadro». E il presidente della Fondazione Carisbo Leone Sibani conclude: «Quando si parla di risorse da destinare al sociale piuttosto che all’arte non saprei proprio quale iniziativa avremmo potuto evitare. Anzi, vogliamo rilanciare San Giorgio in Poggiale come sede del nostro patrimonio bibliotecario e da metà dicembre a Casa Saraceni ospiteremo una mostra con una collezione di ceramiche della famiglia Montpensier di oltre 300 pezzi».
Il nipote Sono anni che cerco di fare uscire mio zio dall’oscurità in cui era precipitato, perché non aveva un carattere facile, ma anche perché rifuggiva i galleristi e non amava l’accademia