Il lavavetri con il curriculum al semaforo
Ahmed, bangladese di 33 anni, cerca lavoro così fra le vie Azzurra e Massarenti
Una specie di ufficio di collocamento itinerante e provvisorio, all’incrocio tra due strade, sotto il semaforo dove raccoglie spiccioli lavando i parabrezza delle auto.
Ahmed, giovane del Bangladesh, fa il lavavetri e cerca un lavoro regolare: lo fa distribuendo curriculum alle auto. Si offre per pulizie, carico e scarico, magazziniere, disposto a qualsiasi turno. La sua esperienza sul pezzo di carta.
«Cerco lavoro. Posso parlare con te?». È una delle poche frasi che Ahmed, nato in Bangladesh nel 1984, sa scandire in un italiano corretto. Senza lamenti: il tono è pacato e sereno. Anche quando ribadisce: «Ho molto bisogno». Ha il volto stanco ma si vede che è giovane. Ha pronto nel taschino del giubbotto anche un curriculum, ordinato e ben piegato, da offrire rapidamente al suo interlocutore. Rapidamente, perché il tempo per parlare della sua condizione, oggettivamente, è poco.
Ahmed Sulaiman è un lavavetri e ha fatto dell’incrocio di strade — tra via Azzurra e via Massarenti staziona, per esempio, regolarmente ogni sera —, il suo personale improvvisato ufficio di collocamento. È lì, sotto il semaforo in cui prova a racimolare qualche spicciolo — con l’attrezzo lavavetri stretto in una mano — ,che infila il suo prezioso curriculum dai finestrini che si abbassano. Lì, fra le automobili che rombano e attendono impazienti che il semaforo viri al verde.
Il ragazzo è gentile, prova a sorridere alla facce scure che, per evitare l’imbarazzo di negare il suo servizio, preferiscono non incrociarne lo sguardo. Se gli va bene, pulisce il cristallo del parabrezza e quando la mano dall’interno dell’automobile si allunga per porgere l’obolo, ci prova. Prova, cioè, a cambiare la sua condizione. «Adesso faccio questo», ci dice.
Non sa nemmeno quanto guadagna, quanto raccoglie, o non lo vuole dire. Fatto sta che non gli basta. Perché lui ha lavorato parecchio, e forse sono stati proprio quei mestieri che gli hanno consentito di ottenere il «permesso di soggiorno valido» che è indicato sul suo curriculum. È in Italia dal 2006, ha vissuto soprattutto con connazionali e immigrati, ma qualcuno lo ha aiutato a compilare quel foglio che elenca dati personali, esperienze e «obiettivi professionali», così preciso, dal formato europeo consigliato in ogni ufficio di collocamento che si rispetti.
Ahmed non ferma solo gli autisti al semaforo, lui conosce gli sportelli per la ricerca di lavoro, ma ha fretta. Per strada fa sempre più freddo. E quella del lavavetri non è un’attività legale. Qualcuno deve anche averlo consigliato male. Ad ogni modo Ahmed, forte della sua «licenza scuola dell’obbligo» conseguita in Bangladesh è disponibile ai mestieri più umili e li enumera uno per uno: carico e scarico, pulizie, addetto alle scaffalature, aiuto magazziniere. Pronto a tutto: «turni diurni, serali e notturni», lo scrive nero su bianco, e se lo incontri non parla d’altro: «solo lavoro». E aggiunge a voce: «Cerco di lavorare per privati, aziende, magazzini, uffiuffici. ci, garage». Il magazziniere lo ha fatto nel 2000, in Libia. Precisa che lì ha imparato a usare «il transpallet manuale ed elettrico». Sempre in Libia ha fatto anche il lavapiatti e l’addetto alla cucina di un ristorante in cui ha appreso la pulizia di carne e pesce e l’impiattamento. Poi in Italia, subito a Bologna, non si è risparmiato: lavapiatti, colf presso una famiglia che lo utilizzava anche come giardiniere, venditore ambulante di bigiotteria, addetto alle pulizie per privati e Ha pulito scale, appartamenti, capannoni. Scrive di sapere parlare in italiano e inglese e di sapere destreggiarsi con internet e posta elettronica. Cosa cercavi in Italia quando hai lasciato il tuo Paese?, chiediamo. «Lavoro — risponde — Stare meglio. Mia famiglia». Il suo curriculum è finito su Facebook e, per ora, ha raccolto “mi piace” e tanti cuori. Al semaforo come ti trattano? «Bene, bene». E ride.
Cerco un posto in aziende, magazzini, uffici o garage Cerco lavoro insomma, cioè quello che volevo quando ho lasciato il mio Paese: lavoro, stare bene e la mia famiglia