Daolio, biografia intellettuale in un centinaio di opere
Al Mambo inaugura domani la Project room con parte dell’archivio del critico donato al Museo
Aperto e curioso verso i nuovi linguaggi, l’utilizzo di diversi materiali, le suggestioni dell’elettronica, amico degli artisti che sapeva comprendere in profondità. Così lungimirante da sdoganare quelle che non erano ancora considerate forme d’arte, come il fumetto, la decorazione e il design.
Roberto Daolio non era solo un acuto critico d’arte ma era fondamento dello sviluppo dell’arte. Quando è scomparso, a giugno del 2013, si è andato ad ampliare un vuoto, già lasciato dalla collega Francesca Alinovi trent’anni prima. La sua storia, fatta di intense relazioni e scambi, è raccontata, da domani, nella mostra «Roberto Daolio. Vita e incontri di un critico d’arte attraverso le opere di una collezione non intenzionale»: un centinaio di opere che gli sono state regalate dai «suoi» tanti artisti. Spesso all’inizio del loro percorso: Marcello Jori — uno dei suoi primi incontri — Andrea Pazienza e tutta quella «banda» creativa. E poi Eva Marisaldi, Alessandra Tesi e la coppia Cuoghi Corsello che devono a lui il lancio internazionale. Bertozzi & Casoni con piccole, bizzarre ceramiche; la Fo- resta di vetro e Le piume di via Fondazza di Luciano Bartolini. C’è anche un «vaso» trasparente di Cattelan, regalato quando non era ancora Cattelan ma Daolio aveva ben capito il suo potenziale. È la stessa opera che espose alla galleria Neon, altro luogo di elezione di Daolio. Sissi, ancora, aveva omaggiato il suo mentore di una colorata Gemma di un nido. L’esposizione è allestita in un’ampia sala al primo piano del Mambo di via don Minzoni, tra le stanze che ospitano la collezione permanente, con cui dialoga. È con Daolio (l’esposizione è aperta fino al 6 maggio) che la sala inaugura la sua nuova missione, quella di Project room: cioè, spiega il direttore del Mambo Lorenzo Balbi, votata ad «accogliere le eccellenze storiche del territorio» siano esse persone, esperienze o artisti.
La mostra è a cura di Uliana Zanetti, con la collaborazione di Giulia Pezzoli e Barbara Secci e il contributo scientifico di Davide Da Pieve, Lara De Lena, Roberto Pinto, Caterina Sinigaglia (Alma Mater) e con il sostegno dell’Accademia di Belle Arti dove Daolio era docente. Tante persone hanno lavorato attorno all’archivio di Daolio donato dagli eredi, il fratello Stefano e il compagno Antonio Pascarella. «Volevamo — spiega la curatrice — raccontare una biografia intellettuale ricca di incontri significativi. I pezzi sono stati custoditi da Daolio ma senza una logica scientifica. Erano le sue collaborazioni, le sue amicizie più intime. Quindi li abbiamo studiati, uno per uno, abbiamo intervistati gli artisti».
Praticamente ne esce un quadro di 40 anni di storia dell’arte italiana, in particolare quella che è esplosa a Bologna negli anni 80 e 90, grazie a personalità, appunto, come Daolio. Personalità che vengono dall’organizzazione dell’ormai leggendaria «Settimana della performance», del ‘77, alla Gam (In mostra sono presenti documentazioni fotografiche dell’evento, che coinvolse oltre a Daolio, anche Francesca Alinovi e Renato Barilli). C’è anche una sezione dedicata ad artisti internazionali, conosciuti dal critico grazie ai rapporti tra le Accademie o ai suoi progetti di arte pubblica, ma noi, spiega Zanetti «abbiamo privilegiato i rapporti più stretti». La maggior parte delle opere sono state pensate per lui. C’è la pagina a lui dedicata da Pier Vittorio in
Biglietti agli amici, a ricordo del sodalizio vissuto nella casa di via Fondazza, insieme anche a Gian Domenico Sozzi.
Come viveva nell’arte Daolio lo spiega infine Il direttore dell’Accademia Enrico Fornaroli: «Il suo metodo era di progettazione e ricerca», insieme agli studenti, gli artisti e gli altri docenti. Lasciando un eredità che andrebbe proseguita. Il tesoro custodito nella Project room suona allora come un monito. Testimonianza del «ruolo culturale» del museo. Lo dice il presidente dell’Istituzione Musei Roberto Grandi: «Non dobbiamo fare solo mostre».