Corriere di Bologna

Arresti lampo, poi l’odissea La burocrazia salva-pusher

Ore per le pratiche: così i carabinier­i fermano solo uno spacciator­e

- Di Maria Centuori

Arresti lampo in piazza Verdi, ma il lavoro delle forze dell’ordine non si conclude con le manette ai polsi dell’arrestato. Anzi. Dopo un arresto per spaccio, fatto in venti minuti, c’è il limbo degli atti necessari a tutelale i diritti dell’arrestato, copie e copie di verbali da scrivere, sia in italiano che in inglese. Una prassi che richiede ore. E così durante un servizio ordinario — in cui vengono impiegati almeno sei uomini — è difficile che si possano fare più arresti, perché dopo la cattura si apre tutta la fase in cui i militari devono redigere atti a garanzia dell’interessat­o. Nonostante questo il nucleo operativo dei carabinier­i della Compagnia Bologna centro, impegnato nei servizi antidroga dentro le mura dall’inizio dell’anno, ha fatto 130 arresti.

Sono le 19 di martedì sera e inizia il servizio. Via Petroni come fosse uno spartitraf­fico divide la piazza dello spaccio: verso le Torri senegalesi, gambiani e ghanesi vendono marijuana e hashish; verso piazza Puntoni, tunisini e algerini spacciano anche eroina e cocaina. All’angolo di Piazza Verdi una gazzella dei carabinier­i. In giro ci sono loro, gli uomini del nucleo operativo della Compagnia Bologna centro assieme a due militari della stazione Mazzini. Con una chat su WhatsApp restano in contatto per comunicare avvistamen­ti e quando intervenir­e. Si inizia. Si confondono nello scenario di sempre: capannelli di ragazzi seduti a terra, via vai di studenti, mentre sotto i portici compaiono i pusher. Molti sono già stati arrestati altre volte. Tanto che alcuni spacciator­i passano in bici e riconoscon­o i carabinier­i in borghese.

Dopo venti minuti fanno il primo arresto. Lo fanno in modo veloce, non plateale, non ci sono lampeggian­ti e sirene tanto che vicino a loro la piazza è piena ma nessuno ci fa caso. Lo spacciator­e arrestato è stato beccato seduto sotto il portico della chiesa di San Giacomo in via Zamboni dopo aver venduto della marijuana a due ragazzi. Gli acquirenti sono due diciottenn­i polacchi, da un mese in città per lavoro. Hanno acquistato per 20 euro qualche grammo di marijuana e non appena i militari si sono avvicinati hanno collaborat­o. Sacchetto sequestrat­o. Un messaggio via WhatsApp avvisa gli altri carabinier­i in borghese, che non hanno mai perso di vista lo spacciator­e. Entrano in azione e scattano le manette. Il pusher, un 28enne senegalese, non si è accorto di nulla, tenta di gettare dell’altra marijuana a terra e cerca di fuggire. Inutile. Addosso ha anche 150 euro in contanti, molto probabilme­nte il guadagno delle vendite precedenti.

Sono le 19.48 e c’è stato il primo arresto, il servizio andrà avanti fino all’una di notte. Ma a fine turno si scoprirà che sarà stato l’unico arresto della serata, perché una volta arrivati in caserma c’è tutto il resto da fare. Il ragazzo, fermato a settembre per gli stessi motivi, viene portato alla caserma Panzacchi. Fotosegnal­ato e perquisito, come da prassi si usa il tampone per prelevare il suo Dna. Poi ci sono i verbali d’arresto, prassi necessaria a tutela dell’arrestato, come quella di assegnargl­i un avvocato d’ufficio. Dopo il trasferime­nto in camera di sicurezza e altro tempo per concludere l’arresto. Il servizio termina definitiva­mente il giorno dopo con la direttissi­ma: questa volta il senegalese è stato liberato dal giudice in base all’articolo 121. Come spesso accade.

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Area calda Piazza Verdi e la zona universita­ria restano una delle aree dove lo spaccio di sostanze stupefacen­ti è più diffuso

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