LUCIA CALAMARO «LA VITA FERMA»
Teatri di Vita Da stasera a domenica lo spettacolo dell’autrice candidata al Premio Ubu come migliore novità italiana. In scena lo strappo tra la vita e la morte dopo la perdita di una persona cara. Si racconta di una madre che torna a incalzare i vivi pe
La scrittura di Lucia Calamaro non lascia indifferenti. Ti immerge nelle sue storie, tra le sue creature. Ti rovista dentro con storie familiari un po’ ridicole e un po’ strazianti. Cordelli, critico del Corriere della Sera, ha definito il suo Tumore «il più bel testo di drammaturgia in lingua italiana degli ultimi anni»; L’origine del mondo si è aggiudicato ben tre premi Ubu e La vita ferma agli Ubu 2017 è candidato come migliore novità italiana. Quest’ultimo spettacolo, dopo una lunga tournée costellata di entusiastici successi in Francia, arriva a Bologna da stasera a domenica a Teatri di Vita (051/566330; dopo l’ultima replica Angela Albanese incontra la compagnia).
La vita è ferma dopo la morte di una persona cara, bloccata tra il ricordo e l’oblio. I morti non scompaiono mai del tutto: ritornano, intrecciano la loro voce a quella dei vivi, riportano alla luce il passato, mai intero, a frammenti sempre più stinti. Lucia Calamaro costruisce trappole avviluppanti che proiettano lo spettatore, la sua emotività, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, direttamente là sul palcoscenico, tra le sue creature allegre e ferite, cariche di umorismo e di dolore.
Lo spettacolo inizia con un trasloco: è morta la moglie, la madre, Simona (Senzacqua, i nomi dei personaggi sono quelli degli interpreti, a sfumare il confine tra maschera e soggetto che la indossa, con sempre qualcosa dell’autrice). Riccardo (Goretti) la vede, le parla, cerca forse di sfuggirla. Lei lo incalza, non vuole essere dimenticata, con i suoi vestiti a fiori, il suo continuo stretching da ballerina. I ricordi si affollano in immagini: una cascata di bilie in un planetario; il rapporto con la figlia Alice (Redini) e con Riccardo, il bisogno di separare la vita di madre e quella di artista, l’affacciarsi della malattia, la paura della morte, la fuga dallo studio del medico… Simona nell’episodio finale è ormai ricordo, o un’apparizione nel cimitero sotto le vesti di spazzina, mentre Alice e Riccardo cercano la sua tomba senza
trovarla. È l’atto del tempo che passa, della vita che continua, ferita e normale, forse il più amaro di uno spettacolo capolavoro.
Ha scritto l’autrice: «La vita ferma è dunque uno spazio mentale dove si inscena uno squarcio di vita di tre vivi qualunque— padre, madre, figlia — attraverso l’incidente e la perdita. È occorso anche qualche inceppo temporale ad uopo, incaricato di amplificare la riflessione sul problema del dolore ricordo e sullo strappo irriducibile tra i vivi e i morti che questo dolore è comunque il solo a colmare, mentre resiste».