«Casini con la sinistra? Mai avrei immaginato»
Il sindacato soffre la rottura a sinistra. E non chiude la porta al M5S
Maurizio Lunghi Casini non c’entra nulla con il centrosinistra, è quanto di più distante da noi Bruno Papignani Cantone corre con i Dem e attacca Di Maio, ma non so proprio perché lui sia peggio del Pd
Quelle del 4 marzo sono elezioni complicate per la Cgil, impegnata su tre fronti: arginare la possibile avanzata dell’estrema destra, garantire ai suoi iscritti libertà di voto, ribadire le radici di centrosinistra senza farsi però travolgere dal suo scontro interno. Difficile riuscirsi quando in città il Pd schiera Pier Ferdinando Casini, mentre Liberi e uguali spinge Vasco Errani.
«Per i nostri iscritti è un dilemma», ammette il segretario della Camera del Lavoro di Bologna, Maurizio Lunghi. Su Casini, chiarisce, «non c’è una pregiudiziale, ma sostenne Giorgio Guazzaloca. Non c’entra nulla con il centrosinistra, è quanto di più distante da noi». Tutto è cambiato, ha sostenuto però l’ex presidente della Camera. «Ma questo dovrà essere dimostrato con i fatti non con le chiacchiere», gli risponde Lunghi. Il segretario regionale della Fiom Bruno Papignani è più netto, ma anche meno interessato a certe turbolenze «perché in giro di sinistra — dice — c’è ben poco». Papignani ritiene la candidatura di Casini «una presa per i fondelli» e tra lui Errani sceglierebbe di gran lunga il secondo. Ma in realtà non sa «se e chi voterò». Perché tra le sue opzioni possibili c’è anche il M5S, che negli ultimi anni ha fatto breccia tra i metalmeccanici.
Come si comporteranno gli iscritti alla Cgil non è un elemento da poco in vista del 4 marzo, dato che sono 823 mila quelli in regione e quasi 170 mila i tesserati in provincia (secondo i dati del 2016). «Noi rivendichiamo e pratichiamo l’autonomia dai partiti», è perentorio il segretario regionale Luigi Giove, che si tiene distante dal dibattito sui nomi. «La nostra è un’organizzazione legata a principi riformisti e di sinistra, e quindi auspichiamo che questa lacerazione possa ricomporsi il prima possibile». Ma più che le divisioni e le scissioni, a Giove preme altro. «Il nostro iscritto ha un solo obbligo: andare a votare e schierarsi saldamente nel campo democratico e antifascista, in una tornata dove si affacciano forze demagogiche, nazionaliste e fasciste». Per intenderci, «chi incita all’odio razziale, chi non ha condannato i fatti gravissimi di Macerata, per quel che mi riguarda è al di là del consesso democratico». Gli iscritti, aggiunge Giove, «sceglieranno chi rappresenta una visione di partecipazione democratica e di inclusione, il contrario di ciò che predicano alcuni esponenti della Lega Nord o di Fratelli d’Italia, per non parlare di Forza Nuova e CasaPound che non dovrebbero avere il diritto di presentare delle liste». Sembra un’ovvietà per la Cgil, ma non lo è se si legge tra le righe il suo messaggio. Perché Giove pone sì un veto verso l’estrema destra, ma indica anche libertà di voto per tutto il resto, rappresentato, per una questione di affinità politica, più dal M5S che da Forza Italia.
Non a caso l’ex segretaria nazionale dei pensionati Carla Cantone, capolista qui alla Camera con il Pd, che conosce bene il dibattito interno alla Cgil, ha messo in guarda i suoi amici sindacalisti «perché se mettete il Paese nelle mani di Luigi Di Maio non so che fine farete». Parole che hanno irritato Papignani. «Non so proprio perché Di Maio sia peggio del Pd». Che poi a dirla a tutta il problema tra lui e Cantone è a monte, non avendo gradito Papignani la scelta di campo dell’ex segretaria dello Spi. «È ora di dire basta a questo travaso di sindacalisti in politica. Fa male a noi, ci indebolisce — si lamenta il leader delle tute blu — e ci mette in difficoltà con i lavoratori».