Castelfrigo, i licenziati fanno causa
La protesta arriva in tribunale: 70 ex lavoratori impugnano il provvedimento
Nel giorno dell’accordo sullo stop al blocco delle merci, la battaglia della Castelfrigo si sposta però in Tribunale. Settanta dei 127 dipendenti che lavoravano per l’azienda leader delle carni suine attraverso due false coop, hanno impugnato il proprio licenziamento. Contestano all’azienda l’interposizione fittizia di manodopera per abbattere i costi. E chiedono una vera assunzione.
Blocco delle merci, scioperi e picchetti, ma non solo. La protesta dei lavoratori della Castelfrigo di Castelnuovo Rangone arriva anche in tribunale. Settanta dei 127 ex dipendenti che operavano per la leader delle carni suine in appalto a due false coop, hanno deciso di impugnare il proprio licenziamento. Tenteranno la via legale, affidandosi a tre avvocati estranei al mondo sindacale. Quelli che hanno deciso di seguire questa strada sono gli stessi che hanno presidiato il piazzale dell’azienda. Altri 52, a inizio anno, erano stati riassorbiti da un’agenzia interinale con un contratto di sei mesi.
Ma se il blocco delle merci, iniziato qualche giorno fa, è stato sospeso, visto che l’azienda, grazie all’intervento in extremis della Regione, si è impegnata a ricollocare tutti gli operai licenziati, l’accusa rimane sempre quella di interposizione fittizia. Ossia di aver utilizzato dei prestanome per abbattere il costo della manodopera. «Il nostro obiettivo è quello di contestare un intero sistema, chiedendo sin dall’origine l’imputazione di ogni rapporto di lavoro direttamente alla Castelfrigo» sottolinea l’avvocato Marco Zaia, che annuncia già per la prossima settimana la presentazione del primo ricorso al tribunale di Modena.
Oltre all’immediato reintegro dei 70 lavoratori come dipendenti a tutti gli effetti dell’azienda, al Tribunale chiederanno anche il rimborso di tutte le ore di straordinario non pagate, i contributi non versati e le differenze sul contratto che dovevano essere applicate. «Parliamo di lavoratori che dovevano essere inquadrati con il contratto nazionale dell’industria alimentare e non con quello della logistica, ma che di fatto erano trattati come facchini per sette euro all’ora. Il loro compito era quello di occuparsi del taglio delle carni, ed erano a tutti gli effetti sotto il potere direttivo, organizzativo e disciplinare della Castelfrigo — continua l’avvocato —. Per anni l’azienda si è avvalsa di cooperative al solo scopo di ridurre il costo dei lavoratori: un risparmio di almeno il 40% per ogni operaio in appalto».
E se a livello penale l’impresa risulta inattaccabile, a livello giuslavoristico si può aprire una possibilità per i settanta ex soci licenziati lo scorso dicembre. Ognuno di loro era infatti assunto come socio lavoratore delle due coop Ilia Da e Work Service, anche se di fatto nessuno ha mai preso parte ad un’assemblea. Anzi, come racconta l’avvocato Zaia, alcuni di loro hanno dovuto mettere mano al portafogli per regolarizzare la propria posizione fiscale, «arrivando anche a pagare 6-7 mila euro a testa». «A noi non interessa la continuità lavorativa per mezzo di queste cooperative di comodo o, come sta accadendo ora, attraverso le agenzie interinali — spiega il legale —. A tutto ciò stanno pensando i sindacati e la Regione: la loro però è una lotta evidentemente diversa dalla nostra. Noi vogliamo che queste persone vengano inquadrate subito come dipendenti a tutti gli effetti».