«Leila della tempesta» Il teatro che trascina
La pièce di Berti oggi nel cortile di Palazzo d’Accursio
Ne abbiamo già parlato altre volte di «Leila della tempesta» di Alessandro Berti, con lo stesso Berti e Sara Cianfriglia, ispirato al libro omonimo del monaco Ignazio De Francesco (editore Zikkaron). Ma vale la pena tornarci su per vari motivi. Innanzitutto perché è bello e forte come pochi altri spettacoli, anche tra quelli che girano sui palcoscenici maggiori. Poi perché è sempre andato in scena in luoghi fuori dai canoni, come la sala dei Martedì di san Domenico, il Seminario arcivescovile, il piccolo teatro in casa del regista. È un teatro che rifugge i velluti, che pure oggi alle 17 si può vedere in una situazione particolare, con ingresso gratuito fino a esaurimento posti: nella sala Tassinari nel cortile di Palazzo D’Accursio, in un’iniziativa promossa dalla Scuola di pace di Monte Sole. La storia narra dei colloqui tra un volontario in carcere, un monaco, e una detenuta musulmana, in prigione per reati collegati allo spaccio di droga, ma fervidamente credente. Lei è arrivata in una notte di tempesta, su un barcone, rischiando la vita come tanti altri. Leila si confida con l’uomo perché lui parla bene l’arabo e lo crede un fratello musulmano. Poi, quando scopre che è un cristiano, erige un muro. Ma alla lunga il bisogno di incontrarsi con qualcuno vince e inizia ad aprire il cuore. Lei viene da un piccolo villaggio, ha sognato un avvenire diverso, portandosi sulle spalle in quella notte di tempesta, come tutti quelli che fuggono, la miseria e l’avvenire di tutta la famiglia. È stata educata a una religiosità semplice, popolare, intransigente. Non ha accettato il matrimonio con un ragazzo siciliano perché l’islam non consente di sposare un cristiano se questo non si converte. L’altro le mostra la Costituzione italiana e quella della nuova Tunisia, parla di uguaglianza di fronte alla legge, di libere scelte. Le fa conoscere poesie arabe ricche di colori contrastanti. Scava con tensione su cosa la rodeva per farle spacciare morte, droga, lei che sa quanto è male per la sua religione. In uno spazio scarno, un tavolo e due sedie, con attori di densità trascinante, questo confronto umano va verso un finale imprevisto