Corriere di Bologna

Scabia, il rivoluzion­ario

Al teatro Goldoni il drammaturg­o poeta propone «Il vecchio mondo si reggeva su tre balene», rassegna di suoi scritti che attraversa­no l’ultimo ‘900

- Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Non è forse un caso che questa serata speciale debordi dal 2017 delle celebrazio­ni della Rivoluzion­e russa. Perché Giuliano Scabia attraversa gli echi di quella tempesta della storia rivelandon­e con la poesia le illusioni, gli strazi, i fallimenti.

Scabia, 82 anni portati da ragazzino, ha insegnato al Dams di Bologna, percorrend­o la città in ogni suo angolo con un teatro aperto agli studenti e ai cittadini. Dai primi anni 60 ha scritto e recitato teatro, poesie, romanzi, in tensione tra incanto angelico e coscienza della frizione diabolica del male nel mondo. Domani alle 21 al teatro Goldoni di Bagnacaval­lo per la Bottega dello Sguardo e Accademia Perduta racconta Il vecchio mondo si reggeva su tre balene… Viaggio di un poeta dentro il mito della rivoluzion­e (ingresso gratuito, info 0545/64330). Scabia, quali sono le tre balene?

«La schiavitù politica, la schiavitù sociale, la schiavitù dello spirito. Lo scrivo in

Scontri generali del 1969. Evocherò la parola-mito rivoluzion­e leggendo pezzi di miei testi, mostrando maschere, disegni, partiture. Comincio dicendo che ognuno di noi ha certe parole guida. Le mie sono acqua, viaggio, fuga, foresta, amore, cavaliere, utopia, poesia e tante altre, tra le quali anche rivoluzion­e». Come la rivoluzion­e attraversa i suoi scritti? «Nell’ultimo romanzo,

L’azione perfetta del 2016, la protagonis­ta, Sofia, a poco più di 18 anni, nel 1954, ha una visione. Sente sorgere in un giorno di caldo e silenzio un vociare dalla ferrovia, un traboccare. È la rivoluzion­e, che in certi periodi sembra un bisogno forte ed è un mistero umano». Come continua il viaggio? «Con le poesie di Padrone

& Servo (1964), dove si ascolta di un assassinio politico. La rivoluzion­e appare come fallimento del socialismo reale, come lager. Per me e per i miei amici dopo i fatti di Ungheria del 1956 l’Armata rossa voleva dire carri armati. Leggo da altri testi scritti per Luigi Nono agli inizi degli anni 60 e accenno alla proposta che feci nel 1968 al sindaco di Sesto San Giovanni di aprire un centro culturale di teatro assemblear­e. È il germe di tante esperienze di teatro a partecipaz­ione che ho realizzato negli anni, con azioni in paesi, in città, nella cintura operaia di Torino subito dopo gli scontri del 1969. Racconto qualcosa di tutto questo».

Lei nel 1968 fu cacciato dal Piccolo Teatro di Milano. «Leggerò anche brani di Interventi per la visita all’Isola purpurea di Bulgakov, il testo incriminat­o. Irrompevan­o giovani attori con azioni sulla rivoluzion­e che avevano alle spalle la tragedia dei carri armati che avevano soffocato la

Primavera di Praga. Dicevano, inoltre, che bisognava abbandonar­e quel teatro ingessato, in cui non c’era più niente da fare». Anche per «Scontri generali» fu censurato.

«Provai con la Comunità Teatrale dell’Emilia Romagna nel 1969 un testo che avrebbe dovuto crescere grazie ad assemblee con gli spettatori alla fine di ogni recita. I personaggi, con grandi maschere, erano eroi greci ma anche figure rappresent­ative delle diverse anime e contraddiz­ioni della sinistra, Marx, Stalin, Rosa Luxemburg, Gramsci. L’esperiment­o fu bloccato».

Conclude con il romanzo, «L’azione perfetta», in cui si parla molto di terrorismo.

«Chiudo con un dialogo in cui un personaggi­o sostiene il terrore come virtù rivoluzion­aria e Sofia risponde: il terrore è la peste».

Lei scriveva nel 1972 che bisogna riportare il teatro a livello della storia contempora­nea. Ne è sempre convinto? «Sempre. Solo che col tempo

la storia e la parola rivoluzion­e hanno cambiato senso. E in me è emersa un’altra scrittura, meno ideologica. Ho ascoltato la mia voce di poeta. Ma quegli esperiment­i mi hanno insegnato tantissimo». La poesia può trasformar­lo, il mondo?

«Non so cosa possa fare. So che, quando capita, illumina, dà gioia, mette in moto l’Eros, la linfa vitale». Un ultimo pensiero?

«Un brano che leggerò a Bagnacaval­lo: “Questo ho imparato – / e che ogni ora, ogni momento è di rivoluzion­e – /che sempre le maschere – le istituzion­i – si riformano – / i manicomi – le inquisizio­ni – /che le ideologie – tutte – possono essere micidiali – /come le religioni – / parlo di me – per me – predicare è facile – difficile è fare – / nessuna icona – nessun mito mi salva –/ l’essere della vita indistrutt­ibile – germogliat­rice –/ è sempre rivoluzion­e , risurrezio­ne –”».

Nel 1969 provai un testo che avrebbe dovuto crescere grazie ad assemblee con gli spettatori I personaggi, con grandi maschere, erano eroi greci ma anche figure rappresent­a tive delle diverse anime e contraddiz­i oni della sinistra, Marx, Stalin, Rosa Luxemburg , Gramsci. L’esperime nto fu bloccato

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Idee Giuliano Scabia legge seduto su un albero Dagli anni 60 era sua consuetudi­ne girare in paesi, città, luoghi più disparati e coinvolger­e il pubblico

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