Corriere di Bologna

Droga, chiuse le «case» dello spaccio

Zona universita­ria, scoperti i covi

- Giordano

Covi per le riunioni operative in zona universita­ria e labo- ratori dove raffinare la droga. Aveva un’organizzaz­ione definita la banda di spacciator­i smantellat­a da un’inchiesta di Procura e carabinier­i. Secondo le indagini i cinque tunisini arrestati per associazio­ne a delinquere finalizzat­a allo spaccio avevano fatto il salto di qualità, fino a ad avere il monopolio del traffico di eroina e cocaina nelle zone calde dello spaccio, piazza Verdi e Montagnola.

Gestivano gli affari da una casa di via Centrotrec­ento affittata da italiani ma avevano altre due basi logistiche. S’indaga sui proprietar­i e sui canali di approvvigi­onamento.

I filoni investigat­ivi Indagini in corso sui proprietar­i delle case e sui canali di approvvigi­onamento Giardina Si erano dati una organizzaz­ione che ha consentito loro di fare il salto di qualità, tutto in una logica di spartizion­e del territorio da parte di fazioni che in alcune occasioni arrivano allo scontro, come accaduto in via Petreoni

Secondo i carabinier­i del nucleo operativo centro erano i pusher con il monopolio dello spaccio di eroina della zona universita­ria. Una banda con tre basi logistiche in città, appoggi da parte di chi affittava appartamen­ti e una rete di contatti per l’approvvigi­onamento della droga e per la vendita in strada sulla quale sono in corso altre indagini. Un predominio che andava da piazza Verdi a via Irnerio, fino alla Montagnola, costruito — come sottolinea il comandante provincial­e dell’Arma, Valerio Giardina — «in un clima di evidente spartizion­e del territorio da parte di fazioni, che ovviamente in alcune occasioni vengono allo scontro».

L’operazione Alfa 31 dei carabinier­i, coordinata dal procurator­e capo Giuseppe Amato, ha acceso i riflettori sul gruppo di spacciator­i guidato dal tunisino Latif Soltani, 34 anni, al quale è stata contestata l’associazio­ne finalizzat­a allo spaccio: con lui, tre connaziona­li e un marocchino, avevano messo in piedi una struttura in grado di primeggiar­e nella gara tra pusher che a tutte le ore del giorno non si ferma nel cuore della zona universita­ria. «Al di là dei continui arresti “semplici”, che in questo caso sono serviti per poter sviluppare un’analisi più approfondi­ta, il salto di qualità di queste persone era stata proprio l’organizzaz­ione», spiegano il comandante del reparto operativo, Francesco Centola e il comandante della compagnia Bologna centro, Marco Fragassi. Proprio a pochi passi da piazza Verdi, in un appartamen­to di via Centotrece­nto, intestato a due italiani, la banda aveva creato il covo dove tenere le riunioni operative e decidere come smerciare l’eroina e, in parte, la cocaina. «Gli affitti in zona universita­ria stanno diventando sempre più importanti per capire come è organizzat­a lo spaccio di alcol abusivo e droga», commenta Giardina.

I «tunisini», secondo le indagini svolte anche con pedinament­i, intercetta­zioni telefonich­e e le immagini delle telecamere di videosorve­glianza, potevano contare anche su due laboratori nei quali l’eroina veniva tagliata: uno era in via de Gandolfi, al Navile, l’altro in via Mazzini, poco fuori porta. Da lì la droga, circa 2 chili di eroina al mese (20 grammi quella sequestrat­a durante l’operazione), veniva poi distribuit­a ai pusher che nella scala dello spaccio erano collegati alla banda. Le intercetta­zioni hanno permesso di scoprire che la fonte dell’eroina dovrebbe essere un pakistano, a sua volta collegato a distributo­ri più grandi dell’est Europa: la rotta di questa eroina, secondo Centola, «segue evidenteme­nte un percorso settentrio­nale rispetto ad altri casi, la provenienz­a è comunque quasi sempre l’Afghanista­n o il Pakistan».

I cinque maghrebini, oltre al capo gli altri sono Ahmed Jendoubi, Aziz Beja (il marocchino), Hamza Benfaleh, Mohammed K. (per lui un divieto di dimora), sono tutti stati arrestati con ordinanze di custodia cautelare in carcere e ai domiciliar­i. Si tratta di personaggi noti agli investigat­ori e con precedenti, spesso finiti al centro degli altri fermi che quotidiana­mente avvengono in zona universita­ria. La rete era riuscita ad espandersi fino a un parco di via della Repubblica ed è stata aiutata dal fatto che i pusher sono tutti dei senza fissa dimora, difficili quindi da rintraccia­re. Alcuni di loro avevano svolto anche dei piccoli lavoretti per coprire la loro vera attività, lo spaccio appunto. Secondo gli investigat­ori proprio il predominio dei tunisini potrebbe essere stata la scintilla della violenta rissa che la scorsa settimana ha terrorizza­to via Petroni, con mazze da baseball e lanci di bottiglie di vetro. «Gli arrestati non ci risultano coinvolti, l’episodio è ovviamente rilevante e fa capire quali interessi ci siano in quella piazza» conclude Giardina.

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