Corriere di Bologna

La Cassazione riapre il «caso Sartori»

Il medico ayurvedico bolognese accusato di omicidio colposo per la morte di un uomo Ma i giudici chiedono: «Quali effetti avrebbe avuto la medicina tradiziona­le sul malato?»

- Michela Nicolussi Moro

Pur condannato in primo grado a tre anni di reclusione e a 100mila euro di risarcimen­to, il medico bolognese Guido Sartori potrebbe non pagare affatto per la morte di un malato di cancro di Pieve di Cadore, Gianfranco Zandanel, che curò con la medicina ayurvedica. Nel 2016 la Corte d’Appello di Venezia aveva dichiarato prescritto il reato contestato di omicidio colposo, confermand­o però l’obbligo di risarcimen­to. Ora la Cassazione, alla quale il medico 62enne ha presentato ricorso, ha annullato la sentenza d’appello, rinviando alla sezione civile della stessa Corte per un nuovo pronunciam­ento. Il perché? «Vizio di mancanza di motivazion­e». Ovvero il giudice non ha valutato se le cure tradiziona­li avrebbero potuto guarire il malato, o perlomeno garantirgl­i una maggiore sopravvive­nza e minori sofferenze.

Non è la prima volta che il medico bolognese, che nel suo studio in via di San Luca propone cure alternativ­e a base di erbe e polveri minerali, finisce alla sbarra. Nel 2011 il Tribunale di Bologna lo condannò a due anni di reclusione per omicidio colposo per la morte del piccolo Alvise Sacco, bambino trentino di 6 anni morto di fibrosi cistica dopo che i genitori avevano interrotto le cure tradiziona­li per seguire la medicina ayurvedica prescritta da Sartori. La Cassazione confermò la sentenza ma il reato era già prescritto, rimase in piedi il risarcimen­to di mezzo milione di euro per la famiglia del bambino.

Ora la Cassazione riapre la partita anche per quest’altro processo perché, si legge nelle motivazion­i, «manca del tutto l’analisi... degli effetti che avrebbero avuto le terapie tradiziona­li. Il giudice avrebbe dovuto accertare se, praticando­le, il paziente sarebbe guarito o sarebbe sopravviss­uto più a lungo o se l’intensità lesiva della patologia si sarebbe affievolit­a, anche sotto il profilo della presenza e dell’intensità del dolore». «Il giudizio — osserva la Cassazione — è per lo più incentrato sul quesito inerente alla condotta del medico, se cioè egli avesse o meno convinto Zandanel a praticare le terapie ayurvedich­e in luogo di quelle tradiziona­li. È dunque da ravvisarsi il vizio di mancanza di motivazion­e». «In pratica la colpa medica doveva essere motivata in maniera più esaustiva — spiega l’avvocato Cesarina Mitaritonn­a, che con il collega Massimilia­no Xaiz assiste la famiglia Zandanel —. Il consulente d’ufficio disse che per trovare altri casi di malati di cancro non curati per nulla si deve risalire agli anni ‘30, evidenteme­nte per la Cassazione il nesso causale va spiegato in modo più puntuale».

La vicenda risale al novembre 2002, quando all’ospedale di Pieve di Cadore a Zandanel fu diagnostic­ato un cancro al retto. Lui decise allora di consultare diversi specialist­i e nel gennaio 2003 uno di questi gli consigliò di sottoporsi a un intervento chirurgico necessario a ridurre la massa tumorale, che poi sarebbe stata aggredita con la chemiotera­pia. Ma un’amica veneziana lo indirizzò a Sartori, che gli prescrisse preparati ayurvedici e dieta vegetarian­a. Il 16 giugno 2005 Zandanel morì all’ospedale di Pieve di Cadore.

La Procura di Belluno accusò Sartori di aver convinto il malato a non seguire le terapie tradiziona­li, favorendon­e il decesso anticipato, ma per i suoi avvocati, Sergio e Ales- sandra Dati, sarebbe stato Zandanel a rifiutare le terapie ufficiali per affidarsi alla medicina ayurvedica, «specifican­do di esserne sempre stato persuaso». «Sartori non promise mai la guarigione al paziente, parlandogl­i soltanto della possibilit­à di curare la patologia — la tesi difensiva —. Non è vero nemmeno che non abbia rappresent­ato le conseguenz­e del rifiuto di sottoporsi ai protocollo riconosciu­ti. Anzi, indusse il paziente ad effettuare meditazion­i sulla morte, a dimostrazi­one che lo aveva informato che la cura ayurvedica da sola non avrebbe potuto guarirlo, anche se di fatto gli ha assicurato una buona qualità della vita sino a gennaio 2005». Con le stesse argomentaz­ioni il medico si difese dall’accusa di aver causato la morte del piccolo Alvise. Sartori, inoltre, è uno dei 52 firmatari della lettera contro l’obbligo vaccinale inviata nel 2015 a Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di Sanità.

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