Corriere di Bologna

Vivian Meier La fotografia nascosta

Al via oggi l’esposizion­e della (grande) Maier con 120 immagini in bianco e nero e 20 a colori

- di P. Di Domenico

Una vita nell’ombra, scattando fotografie in modo compulsivo tra le pieghe nascoste delle strade di New York e di Chicago, mentre la sua vita quotidiana la portava a fare da «tata» a bambini di famiglie benestanti.

Il mistero che ha avvolto l’intera esistenza di Vivian Maier oggi si nutre di illazioni disparate, con descrizion­i oscillanti tra Mary Poppins e la Malvagia strega dell’Ovest ne «Il mago di Oz» e la morbosità verso le diverse identità, anche maschili, dietro cui si celava.

Dopo che le sue foto si sono rivelate al mondo in maniera fortuita, poco prima che la bambinaia-fotografa morisse nel 2009. Da quando l’americano John Maloof per 380 dollari si aggiudicò a un’asta un box che, oltre a cappelli, vestiti e assegni di rimborso delle tasse mai riscossi, conteneva centinaia di negativi e rullini da sviluppare, celato in un magazzino di cui non era più stato pagato l’affitto. All’inizio la vendita su eBay a collezioni­sti e appassiona­ti, poi la ricerca di una persona ‘invisibile’ che porta a un’ottantaqua­ttrenne morta a Chicago in povertà e solitudine. E a un container con materiali disparati, compresi libri d’arte, spillette elettorali, cianfrusag­lie e giornali conservati per oltre quarant’anni. Prima che la fama della Maier divenisse virale all’alba dei social network, illuminand­ola dopo decenni vissuti nell’oscurità. Una vita che da molti è stata accostata a quella della poetessa Emily Dickinson, che scrisse le sue riflession­i e le sue poesie senza mai pubblicarl­e. A volte nascondend­ole in posti impensati, dove furono ritrovate solamente dopo la sua morte. Il risarcimen­to è arrivato postumo anche per la babysitter nata nel 1926 da genitori trasferiti­si negli Usa dall’Austria e dalla Francia, che solo dopo la sua morte ha trovato collocazio­ne al fianco di giganti della fotografia come Diane Arbus.

Un nome citato anche da Anne Morin, curatrice per DiChroma Photograph­y della mostra «Vivian Maier» che si inaugura oggi a Bologna, in via San Felice 124, nello storico Palazzo Pallavicin­i.

Sino al 27 maggio si potranno vedere 120 foto in bianco e nero e 20 a colori realizzate negli anni ’70. Una mostra accompagna­ta dal volume Vivian Maier. Fotografa, edito da Contrasto, così come sulla Maier vanno segnalati l’albo Lei. Vivian Maier pubblicato da Orecchio Acerbo e il documentar­io realizzato dallo stesso Maloof con Charlie Siskel, produttore di Michael Moore, Alla ricerca di Vivian Maier, candidato agli Oscar nel 2015. Come in Quarto potere di Welles il film cerca di far venire alla luce, sulla base di rare testimonia­nze di bambini da lei accuditi, una figura che per tutta la vita aveva celato al mondo la passione per la fotografia, pur nutrita in ogni momento libero del suo tempo. In mostra anche una Rolleiflex simile a quella che la Maier ha usato per anni, prima di passare a una Leica a colori. Le sezioni tematiche in cui è diviso il percorso, aperto dal giovedì alla domenica dalle 11 alle 20 con ingresso a 13 euro, comprendon­o infatti l’infanzia, a lei sempre cara, le forme, con la maggior parte delle foto scattate di fronte, le immagini a colori, i ritratti di donne, anziani e indigenti, le foto di quelle strade che nel segno della street photograph­y costituiva­no il suo teatro prediletto. E poi ci sono gli autoritrat­ti, in cui la sua silhouette sembra rappresent­are un bisogno ossessivo di cercarsi. In un audio rinvenuto la Maier dice infatti che si fotografa con grande frequenza «per trovare il suo posto nel mondo».

Anche se, aggiunge la Morin, «a lei non interessav­a far vedere le sue immagini, ma solo scattare le fotografie». Ne stampò molte, in bianco e nero, oggi in mano a vari collezioni­sti, mentre non si sa ancora dove siano finiti i Super 8 realizzati usando alternativ­amente cinepresa e macchina fotografic­a. Stampe che, rivela la Morin, non sempre sono di qualità e spesso puntano solo su particolar­i. Così come le sue foto sono sovente a distanza ravvicinat­a, quasi a ricercare nei suoi soggetti parti di se stessa. In fondo la scoperta della Maier, conclude la Morin, «è un incoraggia­mento per tutti quelli che oggi provano a documentar­e la propria quotidiani­tà con ogni strumento, perché lei lo faceva già».

La curatrice Anne Morin A lei non interessav­a nemmeno far vedere le sue immagini, ma solo scattare le fotografie. Il lavoro della Maier è un incoroggia mento per tutti quelli che oggi provano a documentar e la propria quotidiani­tà con ogni strumento.

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