«Se non lavori torni in Pakistan» Carabiniere finisce nei guai
In una coop gestita da stranieri i lavoratori in nero erano taglieggiati dai vertici Il maresciallo che indagava avrebbe minacciato uno di loro. La difesa: accusa assurda
Indagava su una coop gestita da pachistani dove i lavoratori in nero venivano taglieggiati dai vertici e costretti a versare loro parte dello stipendio. Un buco nero che oltre ai vertici pachistani, accusati di estorsione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha inghiottito anche un carabiniere del Nucleo tutela lavoro che ieri è stato rinviato a giudizio per estorsione e sostituzione di persona.
Il militare è accusato di estorsione perché secondo la denuncia di uno dei pachistani lo avrebbe costretto, sotto minaccia, a non intraprendere azioni contro la ditta per cui la coop lavorava in appalto. «Se fai sciopero o vai dal sindacato ti rimando in Pakistan», avrebbe detto il carabiniere. Accuse respinte in toto dalla difesa.
Estorsione e sostituzione di persona. Queste le accuse per cui un carabiniere del Nucleo tutela del lavoro sarà processato a giugno. Il militare dell’Arma, secondo l’inchiesta della pm Morena Plazzi, avrebbe minacciato, presentandosi con un altro cognome, un dipendente pachistano di una cooperativa, già al centro di un’indagine. La coop lavorava in appalto per un’azienda bolognese del settore metalmeccanico che nel frattempo ha risolto il contratto con la coop e assunto la maggior parte dei dipendenti.
«Se fai sciopero, se vai dai cobas o al sindacato torni in Pakistan. Io sono il maresciallo, ti faccio denuncia e così vai fuori dall’Italia», avrebbe detto il militare al dipendente pachistano. La presunta minaccia si colloca all’interno di un’altra indagine, per questo occorre fare un passo indietro. Nel 2014 l’ispettorato civile del lavoro avvia verifiche sulla coop gestita da pachistani, poi fallita, e scopre irregolarità fiscali e contratti non in regola per una quarantina di operai, tutti pachistani. I controlli portano a una multa di 600.000 euro che per responsabilità solidale deve essere pagata anche dalla ditta appaltatrice. A questo punto l’azienda bolognese rescinde il contratto con la coop e assume quasi tutto il personale, tranne gli esponenti del consiglio d’amministrazione.
L’ispettorato segnala alla Procura la vicenda e vengono delegate le indagini al maresciallo. Da qui si scopre il buco nero nel quale erano finiti gli operai della coop. Assunti con contratti irregolari, lavoravano full-time ma erano retribuiti per una prestazione part-time. Ma non basta, dovevano anche restituire ai datori di lavoro il 50% dello stipendio e molti di loro, che dormivano nello stabilimento, avevano pagato dagli 8.000 ai 12.000 euro per un permesso di soggiorno. Illeciti che hanno portato tre dirigenti pachistani della coop ad essere accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed estorsione aggravata perché chi si ribellava veniva zittito con la minaccia di far del male ai familiari in Pakistan.
Ieri mentre il maresciallo veniva rinviato a giudizio dal gip Grazia Nart, per i tre c’è stata l’udienza preliminare (poi rinviata). «Risultati ottenuti grazie al lavoro del maresciallo», sottolineano i difensori Libero Mancuso e Andrea Gaddari. Un punto cruciale per la difesa del militare che naturalmente respinge le accuse. In questa complicata vicenda c’è stato infatti un altro
I legali Non si capisce il vantaggio ottenuto dal militare, tra l’altro i lavoratori non avevano intenzione di scioperare visto che l’azienda aveva promesso che li avrebbe assunti
colpo di scena. Durante l’inchiesta, il maresciallo ascolta molti dipendenti della coop, che confermano le accuse, e viene a sapere dall’azienda appaltante di un litigio tra due lavoratori. Il carabiniere va in azienda per ascoltare i dipendenti, uno dei quali avrebbe minacciato il collega. È contro di lui che il maresciallo avrebbe rivolto minacce. L’avrebbe cioè costretto a non compiere azioni contro l’azienda che aveva già deciso di non rinnovare l’appalto e che non l’avrebbe fatto rientrare tra gli assunti. Di qui, per l’accusa, l’ingiusto profitto procurato alla ditta. Sta di fatto che il pachistano denuncia il militare. Così s’innesca l’inchiesta: «Il nostro assistito era in maniera incontestata nel pieno svolgimento di un’indagine delegata dalla Procura — dicono i legali —. L’ipotesi accusatoria da una parte è assurda, dall’altra manca di due presupposti per l’estorsione: il vantaggio nel minacciare un dipendente pachistano e l’oggetto della minaccia perché i lavoratori non avevano nessuna intenzione di scioperare visto che l’azienda aveva promesso che li avrebbe assunti, come poi è stato».