La vita che finisce nel mondo occidentale Il libro di Barbagli
Dalle micidiali epidemie di peste e di colera e dai lazzaretti a curatori religiosi e magici e a ciarlatani di ogni specie, sino al monopolio dei medici con i loro codici deontologici. Il momento della conclusione della vita viene descritto dal sociologo Marzio Barbagli in un ampio excursus riversato nel volume Alla fine della vita. Morire in Italia e in altri paesi
occidentali (Mulino), che il professore emerito dell’Alma Mater presenterà domani alle 18 alla libreria Ambasciatori di via Orefici 19. Con l’autore, in un incontro moderato da Ugo Berti Arnoaldi, ci saranno anche Francesco Campione, Claudia Pancino e Franco Toscani. Nelle 350 pagine del libro la morte, oggi più nascosta rispetto a un lontano passato, diventa la linea con cui provare a tracciare una mappa di come il fine vita sia cambiato in Italia e più in generale in Occidente. Dall’ospedalizzazione a tutti i costi alla riscoperta di una dimensione più domestica passando per i primi hospice e per questioni fondamentali come le cure palliative e il controllo del dolore, Barbagli si interroga anche su tendenze come quella che vede la medicina moderna rivolgersi soprattutto al prolungamento della vita e all’ostinazione terapeutica, anche a costo di trascurare altre esigenze dei malati terminali. Con una considerazione a mo’ di bussola del chirurgo americano di origine indiana Atul Gawande, che nel suo Essere
mortale ribadisce che ognuno ha diritto di portare avanti come meglio ritiene la propria vita sino alla fine. Per Gawande «la regola in apparenza più semplice e sensata da seguire per un medico, è “lottare sempre”, cercare sempre qualcosa di più da fare… Ma lottare non significa necessariamente fare di più. Significa fare la cosa giusta per il paziente, anche se non è sempre chiaro che cosa sia giusto».