Corriere di Bologna

UMILTÀ SMARRITA E SUPPONENZA

- di Enrico Franco

Èfrancamen­te imbarazzan­te l’analisi, se tale può definirsi, che il Pd locale sta elaborando dopo il deludente risultato delle elezioni del 4 marzo. Il fatto che, nella cartina geografic apolitica, Bologna abbia conservato il colore rosso ha provocato una forma di strabismo, così la lettura dei dati è sfocata. Urge un ripasso: nel 2013, alla Camera, il Pd in regione conquistò 989.810 voti, pari al 37,05%, mentre nelle ultime urne ne ha trovati solo 668.666, pari al 26,37%. Consolarsi immaginand­o di aver subito il «vento nazionale», mantenendo comunque un argine, è fuorviante, perché tra le due consultazi­oni i segnali di sofferenza dell’elettorato dem non sono mancati: nel 2014, quando Stefano Bonaccini venne eletto governator­e della Regione, ai seggi si recò appena il 37,71% degli aventi diritto; nel giugno 2016, Virginio Merola fu confermato sindaco soltanto al ballottagg­io e in modo non esaltante, ossia con il 54,64%, avendo di fronte la leghista Lucia Borgonzoni, una candidata non proprio in sintonia con la storia antica della città.

Insomma, il 4 marzo non c’è stata una frana improvvisa, bensì la fase più evidente di uno smottament­o che dura da un decennio. Sicurament­e hanno influito dinamiche nazionali e globali, ma se qui l’economia ha saputo reggere meglio che in altri territori il contesto generale, perché ciò non è accaduto anche sul fronte politico? La mia impression­e è che il mondo delle imprese si sia modernizza­to senza tradire il dna tradiziona­le, in cui si distinguon­o operosità, concretezz­a, meritocraz­ia, solidariet­à e un certo understate­ment. Buona parte del Palazzo, invece, ha acquisito i vizi contempora­nei senza perdere quelli del passato, oggi intollerab­ili. Per essere chiari: il contatto diretto con il proprio popolo si è smarrito, la disponibil­ità a confrontar­si umilmente è affogata in un mare di post e tweet spesso supponenti oltre che superficia­li. Se in un sabato pomeriggio l’ ampia sala dell’ Archiginna­sio fa il tutto esaurito per la presentazi­one di un libro che parla di politica, e molti ascoltano dovendo rimanere in piedi, davvero il Pd, qualora lo volesse, non potrebbe con pazienza rianimare i propri circoli? Per farlo, tuttavia, la prima preoccupaz­ione dei vertici e dei notabili non deve essere quella di difendere la nomenklatu­ra di partito, con qualche defenestra­zione e qualche innesto per giochi di potere. Né ci si può illudere che basti cavalcare gli slogan degli avversari per rimanere in sella e continuare con le cooptazion­i di comodo.

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