Nel vortice delle meraviglie con quello Schubert da manuale
IL CONCERTO La «Nona» con l’Orchestra Mozart e Haitink. E stasera un nuovo concerto
Penso sia legittimo (e non irrispettoso, come forse qualcuno penserà) chiederselo. Come può un direttore, alla veneranda età di 89 anni, guidare la musica ancora così? Con tale — uso volutamente un’unica parola — freschezza? Piccoli gesti per grandi significati. Eppure Bernard Haitink, che nella sua carriera ha plasmato tante orchestre e tanti suoni, anche l’altra sera al Manzoni, sul podio della (sempre) resistente (intendo alle avversità di ogni genere, economico e umano) Orchestra Mozart, è riuscito a far sì che alla fine del concerto anche le mura dell’auditorium grondassero musica. Il pubblico è uscito con gli abiti imbevuti delle note di Schubert, che nella sinfonia finale ascoltata, la Grande, la Nona, ripiegano continuamente su loro stesse in un vortice di meraviglie. Dopo il successo ottenuto a Lugano, la Mozart ha replicato venerdì al Manzoni (e stasera ci torna alle 20.30 con la violinista Vilde Frang, che sarà protagonista del concerto K 219, al quale seguiranno la Jupiter e l’Ottava di Schubert). Prima di entrare nel dettaglio di quanto ascoltato l’altra sera, una piccola premessa. La Mozart, dopo averla frequentata e «consufondo mata» per anni, mancava da molto tempo da questa sala. Potrebbe sembrare azzardato, esoterico addirittura, affermarlo, ma comunque i musicisti hanno dovuto riprendere confidenza con quella sala, con i suoi «riverberi», con i suoi «echi». E, ne sono certo, il concerto di stasera sarà ancora di più un idillio d’amore con le risonanze dell’auditorium di via de’ Monari. Il suono pieno di luce, il loro, quello dell’Orchestra Mozart, di cui ci ha parlato il violoncellista Luca Franzetti su queste stesse pagine qualche giorno fa, ha vinto su tutto l’altra sera. Perché quel suono, loro ce l’hanno solo quando suonano insieme. È il suono di Abbado e un signore della musica come Haitink, che di suoni — come dicevo poc’anzi — ne ha creati a iosa (quello del Concertgebouw in è un po’ ancora il suo...), non ha voluto cambiarlo, ma solo assecondarlo. Si parte con il Concerto per pianoforte e orchestra nr. 25 in Do maggiore K 503 di Mozart con solista Paul Lewis. Suono cristallino, scintillante, lineare, di pulizia estrema, tempi giusti, ma la musica, oltre a non riuscire a spiccare il volo, o meglio, a portarti via, si inceppa in alcune frazioni di secondo per cui pianoforte e orchestra non finiscono insieme alla fine di alcune sezioni. E qui una (gigantesca) nota di merito va alla spalla Lorenza Borrani, che ha fatto in modo che il tutto fosse quasi impercettibile all’orecchio del pubblico. Pausa. Poi la Nona di Schubert incisa dalla Mozart con Abbado dal vivo nel 2011 e uscita nel 2015. Ma non dobbiamo fare paragoni. I corni (Castello e Russo) — nelle proporzioni monumentali del primo movimento e con quel ruolo germinativo che Schubert ha affidato allo strumento in questa parte — entrano con suono vaporoso ma deciso. Che viene ripreso e seguito dai legni, dagli archi e dall’intera orchestra, tra ritmi puntati. Da lì, attraverso l’Andante con moto, lo Scherzo. Allegro vivace. Trio, fino all’imponenza del finale, è tutto un miracolo sonoro, intarsiato di raffinatezze, che sembra possedere al contempo il profumo dell’eterno e l’ambiguità dell’esistenza.