Giovani studenti e aspiranti registi In sei anni gli iraniani sono triplicati
Arrivano alla ricerca di cultura e libertà di espressione Sotto le Torri sono 600: il 60% è iscritto all’Università
Dai deserti e dai tesori architettonici dell’Iran fino alle Due Torri. Sono sempre di più gli iraniani che hanno scelto di vivere in città: negli ultimi sei anni sono triplicati. Sono sempre più giovani i nuovi arrivati, sono poco più che ventenni e vengono per frequentare i corsi dell’Alma Mater: Medicina, Farmacia e Ingegneria le scuole dell’Ateneo bolognese più gettonate dagli studenti iraniani. Altri, perlopiù uomini, decidono di frequentare i corsi dell’Accademia delle Belli Arti, molti infatti vorrebbero fare i registi. Un mestiere di certo non facile in una terra ostile rispetto ai diritti. A maggio l’Accademia ha organizzato in quattro date il «Cineforum Teheran», con altrettanti film iraniani, tradotti e sottotitolati. Sul territorio della Città metropolitana gli iraniani residenti sono 733, la maggior parte di loro vive a Bologna (601) e dal 2011 al 2017 sono triplicati, sei anni prima erano appena 225. Rappresentano il 6,21% degli studenti stranieri iscritti all’Università di Bologna, al quarto posto come comunità straniera per numero di iscrizioni nell’anno accademico 2017/2018: sono 372. Sono i primi iscritti rispetto ai cittadini stranieri del Medio Oriente, davanti a loro ci sono gli studenti cinesi, quelli albanesi e quelli della Repubblica di San Marino. Riconosciuta per i bazar, dei mosaici e dei tappeti, l’Iran è una terra con una storia millenaria. Dall’antica Persia a oggi gli iraniani, popolo composto da numerosi gruppi etnici, hanno subito le influenze di conquistatori greci, arabi, turchi e mongoli. Le storie di chi vive in città lo raccontano, come quella di Amani Hamid, il proprietario del Queen Burger di via Pelagio Pelagi, che arrivato in città come studente di Ingegneria civile ha poi aperto la propria attività ed è stato il primo a proporre il kebab nel 1996 in città. Non ci sono negozi che vendano prodotti tipici persiani, ma ci sono tre negozi storici che invece vendono tappeti persiani e due negozi di orologi, attività commerciali aperte tutte in centro. Chi è giunto in città prima della rivoluzione iraniana ha scelto la Bolognina come proprio quartiere, arrivati in quegli anni soprattutto come studenti di Medicina e Farmacia, ora sono dislocati in tutti i quartieri della città. Molti vivono in centro storico. C’è una sola associazione iraniana sotto le Torri, nata nell’ottobre 1997 per promuove la conoscenza dei diversi aspetti della cultura degli immigrati, gli usi e i costumi, la lingua — il persiano — e tutta la storia dell’Iran, soprattutto per le seconde e terze generazioni, figli e nipoti di chi è arrivato a Bologna prima del regime degli ayatollah. Non c’è un portavoce della comunità. Per quanto riguarda il loro credo religioso a Bologna sono perlopiù musulmani sciiti, è difficile che le donne indossino il velo e quello tipico sarebbe il rusari. Molti sono laici, altri invece professano la religione abramitica monoteista Bahá’í, una fede che è sempre stata perseguita nell’Iran islamico.
Ha deciso di vivere e lavorare in Bolognina perché è la zona che più la rappresenta: «Qui ha vissuto la maggior parte dei partigiani. Mi sento a casa, questa zona racconta anche la mia resistenza». Sohyla Arjomand è una donna iraniana, ha sessant’anni ma da quaranta vive a Bologna. Figlia di una famiglia perseguitata perché oppositori politici del regime islamico, Sohyla è arrivata in Italia due mesi prima della rivoluzione iraniana. Era il 1978, ed è stato proprio suo padre e dirle di non tornare in Iran dopo gli studi, perché il regime dell’ayatollah Ruhollah Khomeini le avrebbe tolto tutto.
«Ho perso molto — spiega senza nascondere la commozione