IL NUOVO AVANZA E CREA LAVORO
Il rapporto Cerved-Confindustria Emilia-Romagna appena presentato a Bologna individua un enorme potenziale di investimento in innovazione dei processi industriali, vale a dire in intelligenza artificiale, robotica, digitalizzazione, ossia i cardini di Industria 4.0. Nella percezione comune vale l’equazione più robot-meno posti di lavoro, perciò la quarta rivoluzione industriale provoca ansia e pessimismo. Le stesse paure suscitò alla fine dell’800 l’introduzione delle prime macchine tessili, e all’inizio del secolo scorso il debutto in campagna dei primi trattori. A quel tempo, in Italia, il 40% della forza lavoro era occupata in agricoltura, oggi poco più del 2%. Di cosa vivono tutti gli altri? Quasi tutti, probabilmente, di un lavoro che ai primi del 900 non esisteva ancora e in un settore industriale che all’inizio del secolo scorso nemmeno si poteva immaginare.
A chi oggi si chiede di cosa vivranno le future generazioni, quindi, bisognerebbe rispondere più o meno lo stesso: di un’attività che ancora non esiste. Ma se ciò può tranquillizzare gli storici, rassicura molto meno un padre con due figli all’università, un giovane neolaureato in cerca di lavoro o un cinquantenne che di economia digitale e «internet delle cose» non ha mai sentito parlare o quasi. Eppure, qualche caso concreto di aziende già incamminate lungo i processi di Industria 4.0 c’è e i risultati dimostrano che non bisogna averne paura.
Il gruppo meccanico Bonfiglioli di Bologna ha da poco posato la prima pietra nel nuovo stabilimento Evo. Costerà 60 milioni di euro (diventeranno 140 con gli investimenti del prossimo triennio) e sarà uno dei primi in Italia ad applicare in toto i principi di Industria 4.0. Dal prossimo anno ospiterà oltre 450 lavoratori oggi impiegati in due diverse unità produttive, ma a regime gli occupati saliranno a 600. Il recupero di efficienza e produttività, infatti, consentirà al gruppo di sviluppare più rapidamente nuovi prodotti, di presidiare meglio i mercati, di essere più competitivo rispetto alla concorrenza, in gran parte tedesca. Insomma di crescere. Il management non si è mai posto il problema di conteggiare esuberi, quanto piuttosto di reperire personale adeguato a un lavoro che cresce, ma cambia. L’ha risolto sottoponendo tutti i dipendenti a un piano di formazione in larga parte rivolto a introdurre la cultura del cambiamento. In altre parole, a non avere paura del nuovo.