Boltanski e Zuppi Dialoghi d’arte
Tutto è iniziato il giorno in cui monsignor Matteo Zuppi ha visitato il Museo per la memoria di Ustica, disegnato da Christian Boltanski, con quelle lucine che si accendono e spengono, a indicare vite svanite, ma anche una lampeggiante speranza. Ieri, nell’aula magna dell’Accademia di Belle Arti, il vescovo di Bologna e l’artista si sono incontrati. La memoria, l’arte come condivisione, il trascorrere del tempo, la spiritualità e l’arte sono stati i temi del dialogo animato da Danilo Eccher (nella foto tra l’artista e Zuppi), curatore del progetto dedicato da Bologna al maestro francese nel 2017. L’Accademia vi aveva partecipato con opere disperse poi tra i visitatori. Oltre il mercato, contro il mercato, riprendendo una performance di Boltanski, che raramente crea opere fatte per durare. «In Giappone — racconta — i templi scintoisti vengono distrutti e rifatti ogni vent’anni. Luoghi da rivivere. Per il Museo ebraico di Parigi ho scritto i nomi delle vittime dell’Olocausto su carta, non nel marmo. Di tanto in tanto devono essere ricopiati. Mi maledicono, ma riscrivendoli, li ricordano». «Il museo per Ustica — ricorda l’arcivescovo — con la sua essenzialità è luogo di spiritualità. L’arte ha a che fare con la ricerca dell’umano, come la fede. Arte e fede sono contigue, come la fede e il dubbio, la voglia di cercare, di misurarsi con i confini. La fede senza l’umano non è possibile. Paolo VI si appellò agli artisti dicendo: abbiamo bisogno di voi, perché ci aiutate a contemplare misteri e grandezza dell’uomo. Le nuove chiese sono essenziali, ma forse è sbagliato spogliarle del tutto della ricchezza, della bellezza». «Io — fa eco l’artista — non sono credente. Mi ritrovo di più in certe piccole chiese messicane senza ori, dove il Cristo ha le sembianze di un indio. L’arte è ricerca, non ha le certezze dell’ideologia, della fede. Si rimette continuamente in gioco. Io creo parabole che pongono domande, senza fornire risposte».