Anoressia, bollettino di guerra I casi aumentano, gli spazi no
La Fanep e il progetto di una struttura extra-ospedaliera
Sono sempre di più i malati di disturbi alimentari, e sempre di più sono i giovani ad essere travolti da quello che è stato definito il «male del secolo». A Bologna, al Sant’Orsola, c’è un centro guidato dal professor Emilio Franzoni che sfida anoressia e bulimia: ma ha solo nove letti, e 350 adolescenti ogni ammo. Ora la Fanep ha il progetto di una struttura extraospedaliera. Franzoni: «Sono disilluso, ma con un si sono pronto a ripartire.
Crescono, nei numeri. Non certo nel peso, che continua a diminuire giorno dopo giorno. I casi di chi soffre di anoressia o più in generale di disturbi del comportamento alimentare sono in «costante aumento», stando ai dati della Regione relativi ai pazienti che si sono interfacciati con i servizi delle Ausl. Nel 2017 sono stati 1.697, di cui 316 minorenni e 1.381 maggiorenni (nel 2013, per fare un confronto, erano 1.251 di cui 182 minorenni e 1.069 maggiorenni).
La crescita dei pazienti potrebbe essere non per forza direttamente proporzionale a una diffusione del male, ma semplicemente relativa a una più alta consapevolezza della necessità di cure e della certezza di un aiuto da parte del servizio sanitario nazionale. In, realtà però, sono ancora tanti ad aiutarsi da soli, a ignorare le possibilità presenti sotto le Due Torri o ad accettare i percorsi di cura solo in condizioni di elevata gravità.
Chi è stato colpito dal «male del secolo» avrebbe una rete, tessuta dalla Regione, creata ad hoc per sostenerne la riabilitazione. Nel 2004 in viale Aldo Moro è stato formalizzato un impegno nel settore con un programma Dca che si è sviluppato con un’implementazione dei servizi territoriali.
«Il modello adottato — spiega la dirigente della Regione Mila Ferri — è quello di un trattamento multidisciplinare, basato su livelli di assistenza a intensità e complessità crescente e su una rete integrata di servizi. Il programma che mira alla prevenzione della cronicizzazione è stato pensato in primis per i giovani, di età compresa tra i 12 e i 30 anni, allargandosi negli ultimi tempi a fasce di età più avanzate».
Il sistema si basa su livelli progressivi di intensità assistenziale: cure primarie, trattamento ambulatoriale, ambulatoriale specialistico, attività di riabilitazione psiconutrizionale in day hospital o residenziale, ricovero ospedaliero per emergenze metaboliche o psichiatriche. Il centro di riferimento ospedaliero regionale è al Policlinico Sant’Orsola, per i minorenni, a cui si aggiungono alcuni posti letto fuori Bologna (in strutture private a Modena e Parma) per gli adulti. Nella rete ci sono poi due strutture residenziali private accreditate, cioè centri di riabilitazione, una delle quali a Bologna: la Residenza Gruber — altro dono alla collettività di Isabella Seragnoli — in via Siepelunga.
I numeri della Regione segnalano il genere femminile come il più rappresentato tra i pazienti presi in cura (89%). La prevalenza trattata è di 6,7/10.000 nelle femmine e dello 0,8/10.000 nei maschi. Il 36% dell’utenza si situa nella fascia d’età 18-30, la più numerosa. A questa segue la fascia 14-17 (20%). Tra i minorenni la diagnosi più diffusa è
Cammino
Ferri: «Il Sant’Orsola ha supplito per anni a ciò che non c’era, ma ora l’equipe è di rilievo»
quella dell’anoressia nervosa (58,2%) seguita da disturbi dell’alimentazione non specificati (24,9%). Anche tra i maggiorenni l’anoressia nervosa risulta la diagnosi più diffusa, seguita da disturbi dell’alimentazione non specificati (25%) e dalla bulimia nervosa (21,2%).
C’è chi, come il professor Emilio Franzoni, primario del reparto di Neuropsichiatria infantile del Sant’Orsola, denuncia ancora carenze nel servizio di assistenza, in particolar mondo in merito al numero esiguo di posti letto in ospedale e alla necessità di strutture per l’accoglienza dei pazienti (per scongiurarne il ricovero o successivamente al ricovero per accompagnarli verso un recupero della propria vita sociale).
«Il Sant’Orsola per anni ha supplito a ciò che sul territorio non c’era — replica Ferri — ma ora l’Ausl è riuscita a mettere insieme equipe di rilievo». Sull’eventuale necessità di ulteriori fondi che potrebbero facilitare il miglioramento e l’ampliamento dei servizi, ed eliminare eventuali liste d’attesa, Ferri taglia corto: «Bisognerebbe sempre avere più risorse, ma ne abbiamo aggiunte. E non ci risultano liste d’attesa lunghe, né per gli ambulatori, né per la Residenza Gruber».
per diminuire il ricovero ospedaliero e offrire ai pazienti un ambiente più simile a quello di una casa».
Le degenze, nel caso dei disturbi del comportamento alimentare, possono arrivare a durare mesi. «E i posti letto, come giustamente dice Franzoni, sono pochi. Un’azienda ospedaliera — continua Di Pisa — non ce la fa a rispondere al bisogno, per questo ci piacerebbe far nascere un centro utile sia per la prevenzione sia per il dopo, ma per realizzarlo servono fondi che da soli facciamo fatica a reperire». Riavvolgendo il nastro della memoria a quasi una decina di anni fa, si ricorda un’idea simile figlia proprio della mente fervida di Franzoni. «Avevamo già individuato due o tre strutture in cui poter sviluppare il progetto (una era Maggio, di Ozzano) — ricorda il
Realista
Il direttore Spagnoli: esistono fragilità, ma con due letti in più non risolviamo la situazione
neuropsichiatra — avevamo già fatto colloqui, creato i programmi, individuato professionisti del settore con cui lavorare, come educatori, pedagogisti, psicologi e lo staff medico si poteva dividere tra ospedale e residenza. Ci volevano i soldi, per realizzarlo. Chiedemmo alla Regione, ma ci rispose che di soldi non ce n’erano. Negli anni ci siamo sempre arrangiati, però. Ci bastava almeno l’avallo, una spinta per poter proseguire: ci risposero invece di “no, non è il caso”. E poi è arrivata la Gruber».
Non si tratta di gare tra residenze, ovviamente, tutti tasselli importanti per combattere l’anoressia e gli altri malvagi disturbi del comportamento alimentare. A distanza di anni da quel progetto, Franzoni si dice «un po’ disilluso, ma se la Regione dicesse di sì, sarei pronto a ripartire subito». Di strutture del genere ce ne sarebbe ancora bisogno. «Non basta quello che c’è», assicura Franzoni. «Da quel che mi risulta, anche alla Gruber fanno fatica a rispondere a tutte le richieste, poi loro sono indirizzati verso un target d’età più alto, noi puntavamo soprattutto su bambini e adolescenti, e pensavamo a una struttura che potesse accogliere i ragazzi dopo il ricovero ma anche prima: quando inizia a manifestarsi il disturbo è inutile aspettare che l’indice della massa corporea scenda fino a 11-13, i danni sul cervello ci sono già, ed è tardi».