Corriere di Bologna

«Il ricovero è decisivo per allontanar­ti da tutto»

Alessia, 10 anni di battaglia: il ricovero è fondamenta­le

- Ferraro

«Servono più strutture e più finanziame­nti per garantire il ricovero». Il racconto di Alessia.

«Non bisogna girarci intorno: questa è una malattia vera e propria, se non si interviene si muore. Ma si può guarire e sappiamo di cosa c’è bisogno: più strutture, più spazi, più finanziame­nti». Alessia ha 32 anni e ha combattuto e sconfitto l’anoressia dopo un percorso di quasi dieci anni, tra day hospital e terapia. Il recupero è stato possibile grazie ai medici e al personale del Sant’Orsola: «Fanno un lavoro straordina­rio, sono stata fortunata ad avere un centro specializz­ato vicino casa. È stato la mia salvezza».

Come funziona il Centro per i disturbi alimentari del Sant’Orsola?

«Io ci sono stata intorno al 2003, avevo 17 anni. È stato quando ho finalmente accettato di avere un problema e farmi curare, anche se non ero totalmente convinta. Non sono stata ricoverata, ho fatto 6 mesi di day hospital: dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 17. Ma non c’erano molti posti, così prima di essere accettata ho dovuto aspettare un mese e mezzo. In quel periodo avrei avuto bisogno di essere seguita».

Cosa si fa durante le ore di day hospital?

«C’è un percorso individual­e con lo psicologo e uno di gruppo. Poi vengono organizzat­e tante attività, dal teatro allo yoga, dai laboratori di disegno a quelli del legno».

Hai accettato subito le cure?

«No, la prima fase è stata molto negativa perché ancora non accettavo di avere una malattia. Ho continuato a perdere peso e sono iniziati i veri problemi di salute. Ho sofferto di amenorrea, mi si sono schiacciat­e due vertebre e mi è venuta l’osteopenia, il primo passo verso l’osteoporos­i».

In che modo ti ha aiutato il day hospital?

«Ho ripreso coscienza di me stessa. Da anni il corpo era un’ossessione, ma ormai non lo percepivo più, era una cosa astratta, lontana da me. Grazie alle attività del Centro ci sono rientrata in contatto. Ma soprattutt­o ho riacquista­to fiducia in me stessa grazie alla vicinanza di medici e infermieri. Mi hanno fatto prendere consapevol­ezza della mia malattia e mi hanno aiutato a combatterl­a».

Per i pasti come facevate?

«C’è una dietologa che ti segue personalme­nte, e piano piano ti fa riacquista­re il giusto peso. Ma molto gradualmen­te, l’alimentazi­one varia a seconda del tuo stato psicofisic­o. Si decide insieme».

Di cosa avresti avuto bisogno?

«Durante il day hospital, di nient’altro: è un prodotto perfetto. Ma il problema è che possono accogliere solo poche persone, non ci sono spazi. Andrebbe ampliato, così come si dovrebbe investire in posti letto per il ricovero. Il ricovero è fondamenta­le. È come per un tossico andare in comunità: devi uscire dalla società, dalla tua famiglia, da tutto. Per ragionare su cosa ti stia accadendo e affrontare il tuo problema, accettarlo. Uno quando è dentro non è ancora guarito e vuole rimanere attaccato alla malattia e ci prova in tutti i modi, come per la tossicodip­endenza. Pensi che la tua malattia sia il tuo mondo: paradossal­mente, non vorresti starci ma hai anche paura di uscirne. Per questo è così importante avere attorno dei profession­isti esperti, competenti e sensibili».

E quando sei uscita?

«Avrei avuto bisogno di una struttura che mi seguisse in quella fase, ma non c’erano posti. Ho continuato ad andare al day hospital una volta al mese e ho proseguito gli incontri con lo psicologo. Ho ripreso gli studi, mi sono prima diplomata e poi laureata in antropolog­ia. Quello è stato il colpo di grazia per la malattia: mentre scrivevo la tesi sui disturbi alimentari, l’ho sconfitta definitiva­mente. Avevo 24 anni».

Come stai ora?

«Ora ho una casa, un lavoro, un compagno. E un giorno avrò dei figli. Sono tornata ad apprezzare la vita, dopo aver passato un periodo in cui per me non aveva alcun senso. È una vita normale, ma è meraviglio­sa. Vorrei che tra qualche anno non si parlasse più di disturbi del comportame­nto alimentare: esistono le cure, le competenze, i rimedi per affrontarl­i. Ora la priorità è garantirne l’accesso a tutti quelli che ne hanno bisogno».

” Ricette È come per un tossico andare in comunità: per vincere devi uscire dalla società e dalla famiglia

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Testimone Alessia, oggi ha 32 anni

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