Corriere di Bologna

La resa degli orchestral­i «Ormai qui regna il caos Il Village? Cambia poco»

- Luciana Cavina © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La sala orchestra, cioè i corridoi e i camerini dove i professori d’orchestra del Teatro Comunale si vestono per la scena e provano, dà su via del Guasto. Da lì entrano i rumori, da lì penetra il segno di un angolo a ridosso del tempio della lirica che, a quanto testimonia­to dagi stessi musicisti, è sempre una «zona franca», un cumulo di degrado «che nessuno — dice Guido Giannuzzi, fagotto dell’Orchestra — sembra interessat­o a risolvere, e nemmeno il Guasto Village sembra una buona soluzione». «Sono qui da 25 anni — va avanti — e la situazione è peggiorata». Non lo pensa solo lui, «è un sentimento comune». «L’altra sera, con il rave, è stato il culmine, siamo usciti e siamo stati insultati e la polizia ha allargato le braccia, ma ogni giorno è così: su via del Guasto si annidano lo spaccio e personaggi poco raccomanda­bili, le donne dell’Orchestra non passano mai da lì». Giannuzzi lamenta che le pattuglie stazionano su piazza Verdi, ma da lì non si spostano: «Eppure, abbiamo sollecitat­o più volte. Su piazza Verdi non succede niente: è lo show room degli spacciator­i, poi “l’ufficio”, dove si scambia la merce è un po’ più in là. Ma lasciano fare». E i container non possono risanare? «Diciamo che rendono l’ambiente più civile — risponde Giannuzzi — ma richiamano sempre un pubblico che non cambia il panorama consueto e che non ha niente a che fare con la storia della piazza: perché quella zona non può essere per tutti? Persone di tutte le età, amanti della musica e dell’arte? Mica gli studenti vogliono tutti birre a 2 euro, ascoltare reggae a tutto volume e fare quello che vogliono. Non c’è posto nel mondo — insiste — dove sono tollerati bivacchi e sporcizia davanti a un teatro d’opera, dove palazzi medievali restano imbrattati dai graffitari e un centro storico permane ostaggio dello spaccio. E i container del Guasto Village non hanno cambiato nulla». Secondo il musicista, insomma, c’è un serio problema di ordine pubblico, poi bisogna decidere il significat­o da attribuire all’area. «La cultura — chiosa — non è la fioriera in piazza Scaravilli, che è già un portacener­e».

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