Il primo a lavorare col Comune L’ex vu cumprà ora è in banca
Harda: «Mio figlio è un orgoglioso minghettiano»
Roma, estate 1988. Khalid Harda ha 27 anni, è in Italia per mettere da parte un po’ di soldi prima di iniziare la specializzazione in Francia. Ma i libri che gli servirebbero per prepararsi al test d’ammissione non arriveranno mai in tempo. «Ce li ho ancora impacchettati in cantina. Da allora non mi sono più mosso dall’Italia».
Harda oggi ha 56 anni ed è direttore della filiale bolognese della Banque Chaabi du Maroc. «Quella è stata una delle estati più belle. Sono andato a Torino, a lavorare ai concerti dei Pink Floyd, di Michael Jackson e di Bruce Springsteen. Poi sono tornato giù». Laureato in economia aziendale nella sua Casablanca, Harda si è messo a vendere prodotti lungo il litorale laziale. «Facevo il vu cumpra’ e guadagnavo anche tanto, ma un po’ me ne vergognavo». L’anno dopo è salito a Bologna. In quel periodo di lavoro ce n’era tanto, a mancare erano gli alloggi. Insieme ad altri ragazzi contattò il sindaco per trovare una soluzione: nell’agosto del 1989 il Comune concesse parte di un vecchio edificio in via Fratelli Rosselli. Per 9 anni si è occupato di gestirne l’accoglienza. «Sono stato il primo straniero a lavorare per il Comune di Bologna, così sono diventato un punto di riferimento per la comunità. Si può dire che per i marocchini sia stato la “Terza Torre” di Bologna», dice ridendo. Prima di approdare nella banca di via de’ Carracci, un paio d’anni al Consolato e il lavoro di consulente presso un’altra agenzia. Per incontrare i clienti faceva avanti e indietro con il Marocco. «Ho conosciuto mia moglie così, a Rabat, in uno di questi viaggi. Dopo 20 giorni ci siamo sposati». Ora hanno due figli, entrambi al liceo. Il maschio è un «orgoglioso “minghettiano”», la ragazza studia al linguistico. In casa e in cucina convivono entrambe le culture: «Mia moglie sa preparare i piatti marocchini, io sono specializzato in quelli italiani». Per lui ora Bologna è casa, a Casablanca torna per rivedere i genitori durante l’estate. «Dopo due settimane però sento la nostalgia. Oh, ho passato più della metà della mia vita qui». Nonostante la sua famiglia, i suoi amici, i suoi ricordi siano legati all’Italia, non ha ottenuto la cittadinanza. «Ho un decreto a casa, c’è scritto “che non sono abbastanza integrato”». Stavolta ride più forte. «Amo così tanto questa città, la domenica mattina, quando posso, faccio una passeggiata al ghetto: ci sono dei suoni, dei profumi. È un’esperienza irripetibile». Sembra un salotto. Sembra di stare a casa.