Viaggio nel labirinto della storia fra confessioni e scambi d’identità
Si intitola «Panorama» ed è l’ultima creazione dei visionari Motus
Inizia come un qualsiasi spettacolo nell’onda di quello che si chiama «teatro della realtà». Panorama, l’ultima creazione dei Motus — prodotta nel teatro d’avanguardia per eccellenza della Grande Mela, La MaMa della compianta Ellen Stewart, una donna capace di riunire intorno a sé spiriti inquieti, radicali — presenta in scena sei attori in una rassegna di razze, provenienze, età, mescolanze, esperienze, corpi. Sono l’afroamericana figlia di una danzatrice e del fondatore del primo museo per la memoria della sua gente, un dominicano nato in un ghetto di NYC, la figlia di una vietnamita scappata da Saigon con un soldato yankee, un coreano che ha atteso a lungo con la famiglia, in anni lontani, di entrare in America, come oggi molti islamici, un cinese, una turca, nel suo Paese imprigionata.
Si confessano, dal vivo e in video, in diretta e in differita. Uno schermo verde abbraccia lo spazio scenico, camera di racconti ed esibizioni del sé; due telecamere rimandano immagini di quelli che vanno a sedersi nell’ombra. Molti altri volti appaiono solo in video. Era un provino per scegliere gli interpreti; iniziava con la domanda più difficile: chi sei?
Non è però una semplice messa in scena di autobiografie. Con un procedimento, neanche questo nuovo, gli attori si scambiano le identità: il cinese parla come se fosse la vietnamita e così via, in un gioco di frammenti, tra proiezioni, presenza, mascheramenti, in un vortice di rimandi. Scorrono atti di «ordinaria» discriminazione, la casa del nonno nero bruciata, gli sceriffi che fermano mille volte, le frontiere, le difficoltà di vivere, lo sballo per sopravvivere, la scoperta del teatro, Amleto e gli altri, il coito col pacchetto di patatine, guadagnare facendo lo strip-tease dopo essersi spogliate tante volte gratis per l’avanguardia…
La confessione diventa viaggio nel labirinto della storia contemporanea, irrorato da ricordi personali, da memorie di guerre, da una scena del “Pilade” di Pasolini, mentre la camera verde diventa incombente delirio lisergico, violenza, quella profonda, inscritta dentro, subita, quella che fa identificare in eroine oscure della ribellione come Mara Cagol o Ulrike Meinhof. Fino all’apparizione della memoria di Ellen Stewart, grande madre protettrice, che con il teatro ha dato un senso di comunità a questa apparentemente dispersa gente, figlia dell’America individualista, che prima o poi ha cercato di farcela, o anche solo di sfangarla
Per eccesso di realismo sincopato, spezzato, entriamo in qualcosa che assomiglia a una storia a noi vicinissima, intima. Grazie ad attori generosi, stupendi, che sotto il rigore del mestiere, sotto tutti i travisamenti rivelano un’umanità meravigliosa.