Tra ironia e «fellinismo»
Si sa, i critici pensano sempre di sapere tutto, sia su come è venuto fuori un film sia di che cosa voleva fare il regista. Ecco, dell’intera operazione Loro –— adesso che abbiamo in mano l’opera nella sua completezza — possiamo analizzare principalmente quel che è venuto fuori, mentre per quanto riguarda l’intenzione del regista brancoliamo nel buio. Premesso che un film scombinato di Sorrentino è pur sempre meglio di un film equilibrato di tantissimi altri autori italiani, Loro 2 non chiarisce l’imperscrutabile atteggiamento del regista napoletano di fronte al Cavaliere.
In questo secondo episodio si mette (in parte) la sordina alle invenzioni più guascone della prima parte, e ci si concentra sul Berlusconi intimo. Non tanto per raccontare i retroscena delle festicciole e delle presunte amanti (in fondo sappiamo già tutto, e Sorrentino ne è consapevole), quanto per scandagliare l’animo del politico più discusso degli ultimi 25 anni. Ma il prisma che ne esce è frantumato e imprendibile, ora carnevalesco ora malinconico, ora corruttore ora nauseato, ora burattinesco altrove spietato. Servillo opera con raffinatezza suprema, slittando da Brecht a Totò in un amen, e arrivando (lui, napoletano) a imitare un milanese che imita un napoletano, come quando Berlusconi canta i classici partenopei.
Sorrentino fa lo stesso, mettendosi su una corda tesissima, postmoderna, sospesa tra dramma e parodia del dramma, tra serietà (il finale su L’Aquila) e presa per i fondelli, tra ironia e fellinismo. Non può, anzi non vuole piacere a tutti. Eppure tutti hanno la sensazione che di Sorrentino non si possa fare a meno e che questi due film (lo scopriremo tra alcuni mesi, non prima) ci rimarranno dentro più di quanto non sospettiamo.