Corriere di Bologna

Il primo «Don Carlo» di Mariotti

Da mercoledì la nuova produzione dell’opera verdiana. Mariotti sul podio, per la prima volta alle prese con il titolo. Brockhaus alla regia: «In uno spazio onirico il dramma dei sentimenti»

- di Luciana Cavina

Pareti rocciose, anfratti mutevoli a mimare i turbamenti dell’anima. La scena, confida il regista Henning Brockhaus, «è come un teschio che fa intraveder­e la storia», in una «dimensione onirica». Sogno o incubo. E i veri protagonis­ti restano i tormenti di un’umanità perduta. Senza una collocazio­ne temporale precisa. Se non «eterna, o senza tempo».

Il contesto storico è ridotto a un pretesto, pur importante, in questo nuovo Don Carlo che esordirà mercoledì (ore 20)al Teatro Comunale con un cast di grandi voci, capaci di dare corpo ai tanti colori della musica. È il titolo verdiano forse più imponente e complesso: Michele Mariotti, il direttore principale della Fondazione lirica, ormai avvezzo ai debutti, lo affronta per la prima volta. Insieme alla sua Orchestra «con cui ormai — dice — siamo un tutt’uno».

La produzione è interament­e firmata dal Comunale: nuovo l’allestimen­to, di realizzazi­one interna le scene, nuovi i costumi. Del Comunale — forse più del sovrintend­ente Fulvio Macciardi che di Mariotti, che comunque l’ha condivisa - è anche la scelta di allestire la versione italiana, in quattro atti, rappresent­ata per la prima volta alla Scala nel gennaio del 1884. È una versione già radicalmen­te rimaneggia­ta dallo stesso Verdi (e probabilme­nte la preferita) dopo quella composta originaria­mente per l’Opera di Parigi nel 1867 con il titolo Don Carlos: il testo era francese, gli atti erano cinque ed erano comprese pure le danze, molto in voga, all’epoca, tra il pubblico d’Oltralpe. In questa versione approdò in Italia, curiosamen­te proprio al Comunale, nell’ottobre dello stesso anno della prima.

La vicenda è ambientata nella seconda metà del Cinquecent­o, dal libretto di Joseph Mèry e Camille Du Locle tratto dal poema drammatico Don Carlos, Infant von Spanien di Friederich Schiller. Quest’ultimo, un testo che lo stesso Brockhaus ha già messo in scena per il teatro di prosa e che giudica «potente e sottovalut­ato». Dove è possibile operare un profondo scavo psicologic­o sui personaggi. Sulla superficie di intrecci politici e amorosi.

Filippo II, re di Spagna, non riesce a opporsi al potere temporale della Chiesa e i destini di tutti sembrano sottostare alla figura del Grande Inquisitor­e. Don Carlo è il personaggi­o forse più romantico, innamorato di Elisabetta che ha invece rinunciato a lui per andare in sposa a Filippo II in modo da assicurare la pace tra Francia e Spagna. Altri personaggi, ancora, come Rodrigo e la principess­a Eboli, animano gelosie e ricatti.

«Affrontare quest’opera — ammette Mariotti — è come scalare una montagna, perché è un’opera densa, complessa, concettual­e e con una musica meraviglio­sa. Come un mare in cui si nuota dall’inizio alla fine. È un’opera che parla di solitudine e di dolore, in cui ogni personaggi­o è perdente, ed è basata sul conflitto. Un conflitto politico, sessuale e generazion­ale tra Filippo e Don Carlo».

Chiarament­e tutto questo si esprime nella musica. «Il duetto tra Don Carlo e Rodrigo — fa l’esempio il direttore d’orchestra — potrebbe diventare facilmente una marcetta, ma non lo è. Perché gli interventi degli ottoni sono palpiti del cuore. È un duetto di affettuosi­tà, in cui Don Carlo che sa già che sta per morire, mette in secondo piano il suo destino di fronte al sentimento di amicizia». «Musicalmen­te — va avanti — ho chiesto attenzione alla pronuncia, ai colori, al suono vellutato e plumbeo». Già ha potuto contare sul Coro (diretto da Andrea Faidutti) e sull’Orchestra, mentre sul cast ha chiesto «cantanti di primo piano». Saliranno, dunque, sul palco Roberto Aronica (Don Carlo), Maria José Siri(Elisabetta), Luca Salsi (Rodrigo), Veronica Simeoni (principess­a Eboli) e Dmitry Beloselski­y (Filippo II). Un cast unico per tutte e cinque le recite. Una condizione, «per dare il meglio».

Da parte sua, rivela Brockhaus, ha fatto «molto lavoro drammaturg­ico». «In primo piano — spiega — non c’è il dramma storico. Al primo livello ci sono angosce, paure, fraintendi­menti e poteri che si scontrano. Quindi lo spazio che ho creato è astratto, potrebbe essere anche negli anni 2000, così come lo sono i costumi. A sua volta lo spazio comprende vari spazi a seconda delle scene, e le luci proiettano materie che conferisco­no un aspetto pittorico».

L’allestimen­to è sostenuto da Alfasigma e sarà trasmesso in diretta su Radio3 Rai la sera della prima.

” Mariotti Dirigere quest’opera è come scalare una montagna, tanto è densa e complessa I personaggi perdono tutti, tra solitudine e dolore E la musica è meraviglio­sa

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