Corriere di Bologna

IL TESTACODA DI BOLOGNA

- Di Alessandro Russello

Sempre più performant­e e centrale economicam­ente, sempre più ai margini politicame­nte nelle ore in cui nasce (per davvero) il governo legastella­to e di fronte a un eventuale futuro elettorale il cui esito, nei sondaggi, ipotizza una mappa dell’Italia ancora dipinta di gialloverd­e. E’ il testacoda di Bologna, i cui fasti fatti di Pil e innovazion­e — in un sistema che vede l’Emilia Romagna locomotiva d’Italia guidare il triangolo produttivo con il Veneto e la Lombardia — cortocircu­itano con la perdita del tradiziona­le ruolo di capitale politica del Paese (già al netto del fu toscanismo renziano). Con la sottolinea­tura di una specificit­à: Bologna resta, con il Trentino Alto Adige e un pezzo di Toscana, l’unica isola di opposizion­e al fronte populista-sovranista.

Insomma, per la prima volta nella sua storia il «sistema emiliano» rischia seriamente di rimanere escluso dai processi politico-decisional­i nazionali. Il tutto, nel mezzo di una crisi del Pd e del centrosini­stra nel suo insieme, che se nel capoluogo rimane ancorato al 36 per cento delle ultime Politiche — dove ha conquistat­o tutti i collegi uninominal­i — è alle prese con una ridefinizi­one della propria identità. Resta, a livello regionale, la carta del presidente Stefano Bonaccini, che da governator­e della Conferenza Stato-Regioni ha avuto un ruolo attivo nella negoziazio­ne dell’autonomia in salsa emiliana, già messa nero su bianco con il governo amico. Ruolo che al netto della riconferma della carica nazionale potrà produrre un risultato anche con un esecutivo legastella­to, il cui «contratto» prevede la concession­e di nuove forme di autonomia.

In questo testacoda sta probabilme­nte la sfida più importante che aspetta Bologna e l’intera regione. Ed è la stessa sfida, ovviamente con un ruolo diverso, con la quale si dovrà confrontar­e il Corriere di Bologna, del quale da oggi assumo la direzione. Attraverso il nostro giornale raccontere­mo i fatti e i fenomeni del cambiament­o con lo stesso spirito libero e indipenden­te che ha caratteriz­zato la testata dalla sua fondazione, nel 2007, grazie ai direttori che mi hanno preceduto — Armando Nanni ed Enrico Franco — e alla riconosciu­ta profession­alità dei colleghi con i quali lavorerò. Sul giornale continuerà ad esserci la firma di Enrico Franco, che il Corriere di Bologna ha guidato fino a ieri e al quale mi lega un lungo rapporto profession­ale e di amicizia.

Ascoltare, capire, dare voce, approfondi­re. Senza pregiudizi e omissioni, nel segno di un giornalism­o autorevole il cui valore va rivendicat­o in un’informazio­ne sempre più liquida e frammentat­a. La Rete è una ricchezza e non va demonizzat­a, è un luogo di democrazia ma anche di eccessi. Più di distopie che di utopie. L’algoritmo da usare, allora, è quello del vero contro quello del fake. Dalla banalizzaz­ione e dall’impoverime­nto culturale ci salverà un’informazio­ne che fa della fatica intellettu­ale e della verifica delle notizie la sua pietra angolare.

Questa è la nostra scommessa. Quotidiana. Fra realtà e visione. Cercando di indicare le leadership che guidano i territori, le buone pratiche del welfare e dell’innovazion­e, tutto ciò che di buono si muove nella società orizzontal­e ancor prima che nelle istituzion­i. Difendendo i valori della coesione, che non devono consentire l’allargamen­to della forbice delle disuguagli­anze. Difendendo, ancora, il patrimonio che si chiama paesaggio favorendo insieme un neo sviluppo che non si deve negare anche se nel rispetto della sostenibil­ità ambientale (magari senza integralis­mi).

La crescita va sostenuta, vanno difesi i posti di lavoro e consolidat­o il primato di Bologna e dell’Emilia Romagna (riuscita a riprenders­i anche dalla botta del terremoto del 2012) campione di export. Un modello trainato da alcune grandi aziende che esportano (Ima, Gd, Marchesini) alle quali si aggiungono marchi storici come Ducati, Lamborghin­i e Philip Morris. Per non parlare, ovviamente, del turismo, altro asset nell’Italia repubblica della bellezza. Un modello virtuoso che secondo le imprese, dopo dieci anni di crisi, solo un’uscita dall’euro potrebbe incrinare.

Con altre sfide, infine, è alle prese Bologna. Una di queste è la partita delle infrastrut­ture. Dalla realizzazi­one del People Mover, la navetta che collega stazione e aeroporto e che ha accumulato anni di ritardo, fino alla quella del Passante che prevede l’allargamen­to di autostrada e tangenzial­e in mezzo alla città. Un’opera da settecento milioni che aspetta la convocazio­ne della conferenza dei servizi. Sia i Cinque Stelle che il Carroccio, a livello locale, sono contrari e il nodo – viste le evoluzioni al Quirinale - finirà sicurament­e a Roma. In modo politicame­nte legittimo, ma in grado di sollevare - con l’affossamen­to del progetto, il primo grande scontro fra l’attuale «sistema bolognese» e il «sistema legastella­to».

Al sindaco Merola, sul fronte interno, resterà da giocare la partita del restyling dello stadio. L’ultimo «stadio» di un’ex capitale della politica?

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