IL TESTACODA DI BOLOGNA
Sempre più performante e centrale economicamente, sempre più ai margini politicamente nelle ore in cui nasce (per davvero) il governo legastellato e di fronte a un eventuale futuro elettorale il cui esito, nei sondaggi, ipotizza una mappa dell’Italia ancora dipinta di gialloverde. E’ il testacoda di Bologna, i cui fasti fatti di Pil e innovazione — in un sistema che vede l’Emilia Romagna locomotiva d’Italia guidare il triangolo produttivo con il Veneto e la Lombardia — cortocircuitano con la perdita del tradizionale ruolo di capitale politica del Paese (già al netto del fu toscanismo renziano). Con la sottolineatura di una specificità: Bologna resta, con il Trentino Alto Adige e un pezzo di Toscana, l’unica isola di opposizione al fronte populista-sovranista.
Insomma, per la prima volta nella sua storia il «sistema emiliano» rischia seriamente di rimanere escluso dai processi politico-decisionali nazionali. Il tutto, nel mezzo di una crisi del Pd e del centrosinistra nel suo insieme, che se nel capoluogo rimane ancorato al 36 per cento delle ultime Politiche — dove ha conquistato tutti i collegi uninominali — è alle prese con una ridefinizione della propria identità. Resta, a livello regionale, la carta del presidente Stefano Bonaccini, che da governatore della Conferenza Stato-Regioni ha avuto un ruolo attivo nella negoziazione dell’autonomia in salsa emiliana, già messa nero su bianco con il governo amico. Ruolo che al netto della riconferma della carica nazionale potrà produrre un risultato anche con un esecutivo legastellato, il cui «contratto» prevede la concessione di nuove forme di autonomia.
In questo testacoda sta probabilmente la sfida più importante che aspetta Bologna e l’intera regione. Ed è la stessa sfida, ovviamente con un ruolo diverso, con la quale si dovrà confrontare il Corriere di Bologna, del quale da oggi assumo la direzione. Attraverso il nostro giornale racconteremo i fatti e i fenomeni del cambiamento con lo stesso spirito libero e indipendente che ha caratterizzato la testata dalla sua fondazione, nel 2007, grazie ai direttori che mi hanno preceduto — Armando Nanni ed Enrico Franco — e alla riconosciuta professionalità dei colleghi con i quali lavorerò. Sul giornale continuerà ad esserci la firma di Enrico Franco, che il Corriere di Bologna ha guidato fino a ieri e al quale mi lega un lungo rapporto professionale e di amicizia.
Ascoltare, capire, dare voce, approfondire. Senza pregiudizi e omissioni, nel segno di un giornalismo autorevole il cui valore va rivendicato in un’informazione sempre più liquida e frammentata. La Rete è una ricchezza e non va demonizzata, è un luogo di democrazia ma anche di eccessi. Più di distopie che di utopie. L’algoritmo da usare, allora, è quello del vero contro quello del fake. Dalla banalizzazione e dall’impoverimento culturale ci salverà un’informazione che fa della fatica intellettuale e della verifica delle notizie la sua pietra angolare.
Questa è la nostra scommessa. Quotidiana. Fra realtà e visione. Cercando di indicare le leadership che guidano i territori, le buone pratiche del welfare e dell’innovazione, tutto ciò che di buono si muove nella società orizzontale ancor prima che nelle istituzioni. Difendendo i valori della coesione, che non devono consentire l’allargamento della forbice delle disuguaglianze. Difendendo, ancora, il patrimonio che si chiama paesaggio favorendo insieme un neo sviluppo che non si deve negare anche se nel rispetto della sostenibilità ambientale (magari senza integralismi).
La crescita va sostenuta, vanno difesi i posti di lavoro e consolidato il primato di Bologna e dell’Emilia Romagna (riuscita a riprendersi anche dalla botta del terremoto del 2012) campione di export. Un modello trainato da alcune grandi aziende che esportano (Ima, Gd, Marchesini) alle quali si aggiungono marchi storici come Ducati, Lamborghini e Philip Morris. Per non parlare, ovviamente, del turismo, altro asset nell’Italia repubblica della bellezza. Un modello virtuoso che secondo le imprese, dopo dieci anni di crisi, solo un’uscita dall’euro potrebbe incrinare.
Con altre sfide, infine, è alle prese Bologna. Una di queste è la partita delle infrastrutture. Dalla realizzazione del People Mover, la navetta che collega stazione e aeroporto e che ha accumulato anni di ritardo, fino alla quella del Passante che prevede l’allargamento di autostrada e tangenziale in mezzo alla città. Un’opera da settecento milioni che aspetta la convocazione della conferenza dei servizi. Sia i Cinque Stelle che il Carroccio, a livello locale, sono contrari e il nodo – viste le evoluzioni al Quirinale - finirà sicuramente a Roma. In modo politicamente legittimo, ma in grado di sollevare - con l’affossamento del progetto, il primo grande scontro fra l’attuale «sistema bolognese» e il «sistema legastellato».
Al sindaco Merola, sul fronte interno, resterà da giocare la partita del restyling dello stadio. L’ultimo «stadio» di un’ex capitale della politica?