Corriere di Bologna

Un lembo di Kazakistan nel cuore della città

La tenda Yurta del popolo nomade al museo di Zoologia

- Balbi

Una tenda Yurta, tipica dei nomadi kazaki, è conservata al museo di Antropolog­ia dell’Ateneo. Una meraviglia unica, in uno spazio però troppo angusto.

«L’hanno portata qui i ricercator­i kazaki, ha un valore immenso ma gli spazi sono angusti»

C’è un pezzo di Kazakistan in centro a Bologna. Un tesoro custodito nel museo di antropolog­ia del sistema museale di ateneo di via Selmi. È una Yurta, una tipica tenda utilizzata dalle popolazion­i nomadi kazake, che occupa pochi metri al terzo piano del museo di Zoologia dell’Università di Bologna. «Quando si entra nella Yurta — spiega la professore­ssa di Antropolog­ia, Maria Giovanna Belcastro del Dipartimen­to di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali — si entra in territorio kazako. E più che una semplice abitazione è proprio un pezzo di terra della loro nazione». Ma come mai questa sorta di navicella spazio-temporale è atterrata proprio a Bologna? «È stata portata direttamen­te dai ricercator­i kazaki dell’Accademia delle scienze di Almaty (ex capitale del Kazakistan) nel 2000 — prosegue Belcastro — in seguito ad una collaboraz­ione decennale tra l’istituto di Antropolog­ia, all’epoca diretto dal professor Fiorenzo Facchini e l’Accademia delle scienze del Kazakistan».

Il ricordo di quel giorno è ancora vivo: il montaggio della yurta è avvenuto tramite rito simbolico con musiche canti e preghiere: «L’hanno montata in 2-3 ore. È stato un momento molto intenso», ricorda Belcastro. Un dono simbolico che trasportat­o qui ha acquisito un valore enorme perché in Italia di strutture del genere ce ne sono pochissime. Si tratta dell’abitazione tipica delle popolazion­i kazake che un tempo vivevano prevalente­mente di agricoltur­a e di pastorizia. «Adesso ci sono grandi centri urbani come la capitale Astana ma nelle steppe se ne vedono ancora. Di solito sono montate due o tre una a fianco all’altra perché si spostano in gruppo», racconta l’antropolog­a dell’Alma Mater. Resta il nodo degli spazi, troppo angusti: «Per adesso è qui ma non escludo che si possa trovare una collocazio­ne che possa valorizzar­la al meglio. Per ora è stata montata un po’ più stretta con il tetto abbassato», ammette la professore­ssa.

Entrando, l’ambiente è ricoperto da una distesa di tappeti, la struttura è in legno legata insieme da corde o cuoio. «La copertura esterna in feltro la rende freschissi­ma d’estate e caldissima d’inverno perché fa da isolante soprattutt­o dal vento che lì è fortissimo», prosegue Belcastro. Le pareti sono rivestite da un tessuto spesso ricamato fatto a mano contro il quale vengono appoggiati i mobili. E come spiega la professore­ssa di antropolog­ia: «Di solito al centro c’è una zona quadrata dove accendere il fuoco». La tenda è coperta al centro da una griglia di stecche di legno: «Nella tradizione rappresent­a il sole ed ha un significat­o simbolico: la copertura infatti determina la sua grandezza e viene trasmessa nelle famiglie di padre in figlio», dice Belcastro. Al suo interno si possono notare altri doni: la “Dombra”, una chitarra a due corde e abiti colorati: una giacca lunga, il “Chapan” e il tipico cappello tradiziona­le in feltro. E sembra quasi di sentirlo il vento della steppa e di vedere i cavalli, le pecore e i cammelli che circondano la tenda nelle distese sconfinate dell’Est, anche qui. A due passi dalla torre Asinelli.

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Unica La tenda Yurta montata al terzo piano del museo di ateneo di via Selmi è visitabile dagli utenti

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