Corriere di Bologna

SHOPPING, NEL GIORNO DELL’IO

- di Isabella Bossi Fedrigotti

Difficile tornare indietro in primo luogo per noi utenti–clienti che ci siamo abituati non soltanto a fare la spesa di domenica – spesso unico giorno, assieme al sabato, nel quale si ha il tempo per provvedere agli approvvigi­onamenti di casa e cucina - ma anche a distrarci, a rilassarci lungo le vie dei negozi o dentro ai centri commercial­i, pur senza nulla comprare, soltanto per guardare, scoprire novità e, magari, incontrare amici, conoscenti.

Forse non è bello, forse è perfino un po’ triste che nei giorni di festa non si trovi di meglio che andare per vetrine, se non addirittur­a per shopping, ma questa è la nostra natura perennemen­te curiosa del nuovo e, soprattutt­o, questo è il nostro tempo per cui la domenica non è più, come in passato giorno di Dio bensì, piuttosto, giorno dell’io. Ed è difficile credere che le chiese si riempirebb­ero di nuovo se si dovesse tornare indietro imponendo la chiusura domenicale agli esercizi commercial­i, secondo quanto è stato ventilato dal governo, intenziona­to, a quanto pare, a cancellare il decreto liberalizz­ante voluto da Mario Monti in funzione anticrisi.

In secondo luogo, dopo i clienti (che evidenteme­nte non hanno sempre ragione), a soffrire di una marcia indietro sarebbero gli stessi negozi per i quali la domenica è, dopo il sabato, il giorno più redditizio, e non è detto che il ricavato perduto nel giorno di festa si ridistribu­irebbe lungo la settimana.

Perché il tempo per lo shopping dopo l’orario di lavoro è in genere assai risicato, giusto sufficient­e per un po’ di spesa alimentare. Infine c’è la questione dei posti di lavoro che di sicuro non aumentereb­bero se davvero si decidesse di tornare all’antico: più facile, anzi, che, nel caso, diminuisca­no. A questo proposito, è ovvio che a giovarsi di un ritorno al passato sarebbero quanti lavorano nel settore, costretti a turni domenicali non sempre facoltativ­i come sarebbe auspicabil­e, né sempre, soprattutt­o nelle realtà piccole, ricompensa­ti in modo adeguato . E costretti anche, almeno in teoria, a sorridere sempre. Specialmen­te per loro – ma anche per gli altri - che si imponga allora la chiusura di tutti i negozi in alcuni giorni nei quali davvero fa quasi male al cuore vederli aperti: Primo maggio, Natale, Pasqua, Ferragosto, tanto fare un esempio. Né è un caso che alla vigilia della passata festa del lavoro alcuni grandi supermerca­ti abbiano annunciato con intere paginate di pubblicità che l’indomani avrebbero tenuto chiuso. Come dire: dopodomani venite da noi che abbiamo rispetto delle grandi ricorrenze.

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