Europa, metodi e idee nella rivoluzione Virtus
Stranieri poco noti e rinnovabili, foresteria, immagine Ora Martelli e il coach stanno costruendo un team
La confusione e il disordine dell’anno scorso hanno avuto un prezzo: a Julio Trovato e Alessandro Ramagli sono costate il posto, alla Virtus qualche investimento, a chi è rimasto invece sono costate la necessità di cambiare mentalità e visione. Due mesi dopo l’insediamento di Alessandro Dalla Salda e uno dopo l’arrivo di Marco Martelli, è il metodo di lavoro la prima novità evidente osservando la rivoluzione virtussina. Apparentemente nulla di strano, in pratica una ventata fresca che ha spazzato via le caotiche modalità gestionali del passato. Ciò di cui si sono accorti i tifosi è il cambiamento nel mercato, dove sono arrivati giocatori stranieri quotati eppure a loro sconosciuti. Ma quella è solo la punta, la nuova società sta operando un processo di progressiva ristrutturazione nel modo di pensare, di lavorare, di decidere. Una società snella, probabilmente pure troppo per le esigenze attuali e le necessità di costruire un club. «Costruire», non a caso, è il verbo più gettonato a partire dalla squadra: questa Virtus non è una somma di giocatori ma un assemblaggio, un incastro che ha richiesto riflessioni e approfondimenti. Da questo sono scaturite le scelte di Kravic e Qvale, di Punter e di Taylor, dei prossimi due stranieri che completeranno il roster e di un ultimo italiano al quale probabilmente affidare un ruolo di backup dei dieci titolari «designati». Sono tutti giocatori pronti ma in fase ascendente della carriera, catalogati nel database del direttore sportivo e trattati direttamente con i procuratori stranieri, con contratti allungabili o opzionati dalla società e firmati a condizioni vantaggiose. La missione, già candidamente chiarita da Dalla Salda nel giorno della sua investitura, è costruire — appunto — una squadra competitiva facendo fruttare un budget analogo alla passata stagione. Un gruppo di lavoro nuovo e con idee buone, ha un solo modo per imporne i metodi: vincere le partite. Sulle spalle della Virtus, poi, pesano le aspettative e l’epica dei tempi d’oro, ancora utilizzati come termine di paragone nonostante il club manchi dalle mappe europee da dieci anni e non vinca nulla di importante addirittura dal 2002. Togliersi quest’ombra di dosso sarà un incrocio fondamentale per il successo. La dirigenza sta tentando di trasportare il messaggio attraverso un mercato solido e silenzioso, efficace al punto che qualche tifoso chiede se sia stato ritoccato verso l’alto il budget per consentire innesti di livello europeo. Invece, di regali Massimo Zanetti ancora non ne ha fatti e le cifre sono quelle promesse. Ma avere una proprietà così affidabile consente di spalmare interessi e investimenti non solo sul campo ma pure sulle strutture, i materiali di supporto, la programmazione. Poggiando le proprie ambizioni sulla foresteria ormai ultimata, la Virtus può sviluppare un progetto interessante anche per i giocatori. Tolti i club di Eurolega, che attingono da risorse fuori categoria al momento, con il peloton degli inseguitori la Segafredo può giocarsela meglio sventolando strutture all’avanguardia, apparecchiature mediche e di recupero fisico, spogliatoi e saloni video moderni, programmi atletici su misura, palestre aperte tutto il giorno, piuttosto che — soltanto — ricordando ai nuovi atleti che qui hanno giocato Sasha Danilovic e Manu Ginobili. E questo sviluppo è una delle basi di lavoro dell’oggi, con la foresteria ultimata e pronta ad essere riempita: si trasferiranno lì gli uffici, verrà implementata la lavanderia, sarà ricavato uno spazio per i video e lo scouting, la palestra subirà un restyling. L’estate prossima, toccherà al rinnovamento degli spogliatoi. Queste sono le carte vincenti che possono ricollocare la Virtus nella gerarchia dei club italiani ed europei, al pari ovviamente dei buoni risultati sul campo. Ma quelli — sono convinti in via dell’Arcoveggio — arriveranno anche come conseguenza della nuova struttura e dei rinnovati metodi di lavoro. «Rivoluzionari», sostiene qualcuno, «normali e di prassi» replicano i dirigenti. L’orientamento è europeo: mentre la Virtus aveva un nome blasonato ma era arretrata sul piano organizzativo e gestionale, anche in Paesi apparentemente ai margini dell’interesse del grande pubblico ci sono club strutturati, moderni, nei quali le facilities rappresentano un punto di forza per reclutare buoni giocatori. Riaffacciarsi in Europa con la Champions League consentirà ai tifosi bianconeri di cogliere la differenza, capire questo processo di sviluppo e probabilmente anche rivedere alcuni giudizi. Per il proprio pubblico, la Virtus è «la Virtus». L’amore, a volte, è cieco. Servirà tempo per ritornare in alto, ma il lavoro vero è soprattutto interno. La classifica è una conseguenza.