NUOVA URBANITÀ CERCASI
Apensare alla «questione delle abitazioni» come oggi si pone a Bologna viene in mente l’estate del 1969. Chi c’era la ricorderà, perché di notte si stava tutti con il naso per aria a guardare la luna, raggiunta dagli americani. Di fatto non si vedeva nulla di nuovo, ma tutti gli occhi erano puntati lassù, in direzione dell’epocale evento, cui però a dispetto delle attese non seguì l’inizio di nessuna nuova epoca. Una vera rivoluzione in quegli stessi giorni invece accadeva, del tutto silente ed inavvertita perché da nessuno prevista: negli Stati Uniti due computer iniziavano a dialogare tra di loro e nasceva la Rete, cioè davvero un mondo nuovo. Lo stesso vale adesso per Bologna, se alla luna sostituiamo i visibili impianti e i grandi investimenti urbanistici (il Passante, lo stadio, i Prati di Caprara) e alla Rete l’invisibile, diffusa e pervasiva maglia di singole abitazioni e stanze affittate per brevi soggiorni, da privato a privato, attraverso la piattaforma Airbnb. Si tratta di un problema globale, cioè che interessa il mondo intero e specie i centri storici, ma che a Bologna assume forma e incidenza proprie, a motivo della particolare economia della nostra città. Nei giorni scorsi le cronache hanno descritto in maniera vivida il contrasto tra tale nuovo mercato e la tradizionale pratica dell’affitto a studenti, a torto o a ragione giudicati dai proprietari inquilini più impegnativi e meno affidabili della nuova figura del turista.
Esono già stati segnalati i progetti bolognesi dei fondi internazionali stranieri specializzati nella costruzione di studentati, attratti qui da noi dalle nuove opportunità, cioè da una domanda crescente che almeno per ora gli sforzi congiunti di Comune e Università non riescono a soddisfare. Si delinea, insomma, una microfisica urbana di tipo nuovo, al cui interno la conservazione di una delle principali (se non la principale) funzione economica del centro, vale a dire l’alloggio degli studenti, deve fare i conti con l’impatto locale di tendenze planetarie che, in via diretta o indiretta, modificano l’assetto e i ruoli della città intera. I dati disponibili sul sito di Inside Airbnb sono eloquenti: nell’ultimo decennio a Bologna gli annunci commerciali sono cresciuti fin quasi a tremilacinquecento, la metà dei quali riguardano più di un’offerta, relativa in due casi su tre non a singole stanze ma a interi appartamenti. Nel complesso essa riguarda molti più posti letto di quanti tutte le stime fin qui azzardate erano in grado di supporre. Non è, come a prima vista parrebbe, la semplice estensione e semplificazione del vecchio sistema, fondato sul passaparola o sugli annunci a stampa e sul rapporto diretto tra proprietario ed ospite. È invece la ridefinizione del concetto stesso di città e della sua natura, qualcosa di cui la gestione politica di Bologna dovrebbe urgentemente prendere atto, in vista della messa a punto di adeguate strategie. Oggi più che mai è problematico stabilire che cosa una città sia, o meglio vada diventando. Al riguardo due tendenze si vanno facendo largo. Per la prima, una città è ancora comprensibile attraverso l’indagine del nesso tra localizzazioni, usi del suolo e interazioni umane. Per la seconda, molto più radicale, quel che chiamiamo urbano non ha più nulla che sia passibile di analisi empirica, ma consiste in un processo la cui comprensione non passa più attraverso i concetti di territorio, luogo, scala, periferia, confini amministrativi e così via. E la cui gestione trascenderebbe in maniera ampia e decisa ogni capacità delle amministrazioni locali, perché ne supererebbe ogni possibilità di iniziativa. In realtà, come il caso bolognese illustra in maniera esemplare, sempre più la città (ogni città) va rivelandosi come l’interfaccia materiale tra una molteplicità di piattaforme elettroniche, il concreto ambito della ricaduta dei loro flussi. Di qui in avanti sarà questa la natura dell’arena di ogni possibile manifestazione di urbanità, dunque l’unica occasione perché a quest’ultimo termine corrisponda ancora un significato. Vincerà, in tutto il mondo, la città che prima e più di ogni altra sarà in grado di trovare, sul campo, la formula per tale grande impresa. Al riguardo Bologna ha molte più potenzialità di tante altre. E per essa sarebbe l’unico modo per tornare a essere davvero ciò che una volta orgogliosamente era, o affermava di essere: un autentico laboratorio politico, in grado di costituirsi come modello perché in grado di tenere insieme, cioè di conciliare, i flussi elettronici e la riproduzione di un contesto sociale all’altezza della tradizione. O più semplicemente della storia che in passato ci siamo raccontati.