Corriere di Bologna

La Virtus è entusiasma­nte»

Kravic: «Conosco la storia e gli eroi. L’anno scorso la mia vita è cambiata»

- Luca Aquino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Dejan Kravic, il suo biglietto da visita sono stati i 25 punti in 22 minuti nella prima amichevole stagionale contro Ferrara. È una sua peculiarit­à essere così produttivo, come successo lo scorso anno in Grecia (12 punti di media in 19’)?

«È stata una svolta nella mia carriera nata proprio l’anno scorso. Nella stagione precedente a Bruxelles non era proprio così. In Grecia mi sono detto che sarei dovuto essere il più produttivo possibile, sia che giocassi 2-3’ sia che ne giocassi 30’».

Una bella stagione al Panionios che le è valsa la chiamata della Virtus.

«Quando ho sentito che c’era questo interesse è stato entusiasma­nte. Conoscevo la storia della Virtus e dei grandi giocatori passati da queste parti come Ginobili, Danilovic, Paspalj, Jaric. Anche se ero piccolo, ricordo i racconti dei miei genitori che erano appassiona­ti di basket».

Racconti dall’altra parte dell’oceano, perché presto la vostra famiglia si è dovuta trasferire in Canada.

«Dopo lo scoppio della guerra in Jugoslavia, mio padre ha capito che l’unica cosa che potevamo fare era lasciare Mostar. Avevo 4 anni, è stata un’infanzia dura perché nessuno vuole lasciare il posto dove è nato. Non ero contento, però ora amo il Canada, è uno dei migliori Paesi al mondo».

Come è stato l’impatto con la nuova vita?

«Io avevo 4 anni, mio fratello 2, ma è stato più difficile per i miei genitori. Loro lavoravano come insegnanti a Mostar, mia madre parlava un po’ di inglese e mio padre per niente. Trovò un posto alla Nestlé, ogni giorno doveva farsi più di un’ora a piedi o in bicicletta, anche sotto le neve e al gelo, per andare al lavoro e permetterc­i di mangiare. Siamo partiti dal basso, papà continua a lavorare alla Nestlé e mamma fa l’interprete».

Più avanti c’è stato un secondo trasferime­nto per lei, sicurament­e meno traumatico. Quello da York, college canadese, a Texas Tech negli Usa.

«Per me è stata una grande cosa, mi sono messo in gioco. A 14 anni ero solo 1,75 e pesavo 75 kg forse. Poi, all’improvviso, il mio corpo si è sviluppato e dopo due anni a York ho deciso di fare il salto in Division I. A Texas Tech è stato decisivo il mio primo anno, nel quale non ho potuto giocare per i regolament­i Ncaa dopo un trasferime­nto. Mi è servito a diventare un giocatore migliore, allenandom­i con un grande coach come Tubby Smith, e quando è stato il momento di giocar ero pronto».

Ha sempre giocato a basket?

«No, da bambino la mia grande passione era il calcio. Ho giocato dagli 8 ai 13 anni, ero un difensore ma mi piaceva dribblare tutti e andare a fare gol. A quei tempi guardavo molto il calcio italiano, soprattutt­o le squadre con i giocatori serbi come Inter e Lazio con Stankovic e Mihajlovic. Il 24 febbraio non voglio mancare a Bologna-Juve, Cristiano Ronaldo è il mio preferito».

E nel basket a chi si ispira?

«Vlade Divac. Amavo la sua capacità di fare più di una cosa: tirare, passare la palla, palleggiar­e lungo tutto il campo a grande velocità. Oggi ammiro LeBron James».

Da qualche anno in estate organizza un camp in Canada.

«Sì, ho iniziato tre anni fa perché volevo dare ai bambini di London, la città dell’Ontario dove sono cresciuto, quello che non avevo io. Era duro per me farmi scoprire in una città che non era nota per il basket. Il Canada è il Paese dell’hockey, ma io non so pattinare e al massimo ho giocato a hockey per strada».

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