Libertà di scelta o «schiavitù»?

E la sociologa: anche i Tdays dovranno cambiare

Senza volerlo, Gianni Morandi nel grande dibattito — domenica sì, domenica no — ci finì dentro con tutte le scarpe. Lì per lì non aveva pensato al clamore che una semplice foto avrebbe prodotto sui social, tra insulti (molti) e ironia (abbastanza). Il cantante che va di domenica con la moglie a far la spesa in un centro commerciale di San Lazzaro e appena lo scatto è on line giù commenti e critiche di ogni genere.

Era il settembre del 2016 e a distanza di due anni se ne riparla, questa volta perché il vicepremier Luigi Di Maio è intenzionato a modificare gli orari del commercio, una misura che potrebbe riguardare forse anche Bologna. Anche se quello dei consumi è un mondo che in questi ultimi anni ha subito molte trasformazioni, alcune percettibili altre meno. «Abbiamo osservato, partendo proprio da qui, come i centri commerciali avessero comunque da tempo conosciuto un momento di crisi, e così le catene della grande distribuzione hanno pensato di ritornare in parte ai negozi di prossimità», racconta la sociologa Roberta Paltrinieri, dell’Università di Bologna. Un fenomeno legato «al bisogno dei cittadini di riappropriarsi degli spazi

” Opposti Con i miei orari, per nulla canonici, è un problema Sono a favore, se non cambia la busta paga

pubblici, e in questo i Tdays sono un esempio perfetto».

Non solo per raccontare cosa è successo ma anche cosa potrebbe accadere. «Con i negozi chiusi, a quel punto pure i Tdays dovrebbero rinnovarsi, servirà un’offerta nuova, soprattutto culturale, e ci guadagnerebbero», è pronta a giurarci la docente. A differenza di altri, «penso al centro Meraville che con la chiusura nei festivi rischia di diventare in quei giorni uno spazio morto», prevede Paltrinieri. «Parliamo di aperture al pubblico che fino ad oggi si sono rivelate comode per le famiglie, che non si sono accorte di aver perso un giorno che dedicavamo ad altre attività».