Danio Manfredini: «Ritorno a Genet» Divine è in scena
Divine il travestito, Divine il marginale che frequenta ladri, puttane, giovani dalla bellezza abbagliante, altri omosessuali come lui. Divine che scende sempre più in basso secondo i canoni borghesi, per innalzarsi a cieli di bellezza esistenziale assoluta, benedetti dal sacramento del desiderio, della trasfigurazione immaginaria di ogni realtà bruta. Il personaggio inventato da Jean Genet nel suo romanzo d’esordio, Nostra Signora dei Fiori, scritto come un grido in carcere e poi rielaborato negli anni successivi fino a diventare un caso letterario nella Francia dell’esistenzialismo grazie anche a JeanPaul Sartre, diventa il protagonista di un reading con immagini di quello che è forse il più intenso attore italiano. Danio Manfredini presenta il suo Divine stasera alle 21 al Cavaticcio a conclusione della sezione teatrale della rassegna del Cassero lgbti center intitolata «L’altra sponda» (ingresso 8 euro, dalle 19 saranno in funzione bar e punto ristoro). Manfredini si schermisce: «Non è un vero e proprio spettacolo. È la lettura di uno story board che avevo composto per il film da inserire nel mio Cinema cielo. Proietto i disegni, gli schizzi e recito parti della sceneggiatura. Lo avevo preparato come regalo di compleanno per un amico e mi hanno convinto a farlo, di tanto in tanto». La verità è che Manfredini riesce a dare verità scarnificante e qualsiasi cosa interpreti, anche i pezzi più teatrali o di repertorio come in Vocazione, un viaggio in diverse rappresentazioni dell’attore. E Genet è uno dei suoi padri putativi, a fondo indagato, approfondito, rappresentato, fin da quel Miracolo della rosa che rivelò il genio di questo attore, creatore più che interprete.