Così la cronaca si fa arte
La storia la conosciamo tutti. O no? Attenendosi ai fatti oggettivi e lasciando fuori campo ciò che è ampiamente intuibile ma ancora materia di lunghi passaggi processuali, il regista Alessio Cremonini e i realizzatori del film offrono una narrazione ricca e informata di quanto accaduto a Stefano Cucchi. Della gravità della vicenda e dell’importanza di questo passaggio oscuro della democrazia italiana si è molto parlato, e non è questa la rubrica per ribadire concetti condivisi. Al critico, invece, il compito di comprendere se si tratta anche di un buon film. Non perché chi giudica una pellicola di questa delicatezza possa fare a meno di estraniarsi dal contenuto, diciamo così, politico (sarebbe sciocco e soprattutto improprio), ma perché di opere tratte dalla cronaca e ispirate dalle migliori intenzioni ne abbiamo viste fallire tante. Lode quindi a Cremonini e agli attori (naturalmente Alessandro Borghi, che si conferma interprete molto fine) per aver saputo fare delle scelte narrative nette: il racconto riguarda esclusivamente i giorni tra l’arresto di Cucchi e la sua morte; i personaggi in scena sono pochissimi; la precisione dei luoghi e la cura dei dettagli appaiono evidenti; il pedagogismo tipico del cinema italiano di denuncia ridotto al minimo. Quanto alla snervante discussione sul fatto che il film sia contemporaneamente su Netflix, non se ne vede l’utilità. Il pubblico sta accorrendo in sala, anche pagando un biglietto che per 90 minuti gli costa circa un mese di abbonamento alla piattaforma. Segno che la sala viene valutata dagli appassionati un’esperienza diversa e più autentica. E bisognerà dunque ragionare su nuove forme di distribuzione, caso per caso. A patto di avere buoni film come questo.