IL CAPITALE GLOBALE E LA CITTÀ
Come volevasi dimostrare. Più del balletto circa i carsici fondi alle periferie promessi dal governo. Più dell’andirivieni a proposito del controllo della Montagnola. Più della curiosità intorno alla forestazione di piazza santo Stefano. Più anche della locale applicazione del cosiddetto decreto Unesco a tutela delle botteghe storiche. La notizia che rivela meglio di tutte l’attuale condizione urbana bolognese è un’altra: alla Bolognina non sono d’accordo sul progetto di studentato avanzato da un fondo multinazionale straniero, perché giudicato troppo ingombrante e discorde, dal punto di vista architettonico ed urbanistico, con il resto del quartiere. Accade dappertutto: richiamate dalle opportunità di mercato potenti forze non municipali avanzano i propri piani sulle città, e spesso sono le stesse con le quali le amministrazioni locali sono costrette a scendere a patti, a motivo del crescente deficit delle proprie casse, sottoalimentate da governi che stentano a riconoscere la nuova centralità dei ruoli urbani al tempo della Rete. Così ovunque nuove logiche intervengono, producendo forme che mal si adattano al paesaggio urbano esistente.
Nel nostro caso però ad essere surrogata dal grande capitale globale è una funzione connessa alla decisiva e distintiva capacità bolognese di «fare mondo», come oggi si dice a proposito dell’influenza che misura il rango e la reputazione delle città.
Si sottrae cioè in termini economici a Bologna una funzione strutturalmente connessa, da secoli, al suo apparato cognitivo, alla sua capacità di comprensione. Si morde il cuore della reciproca, endogena intelligenza interattiva tra infrastrutture, forme costruite ed abitanti che hanno fatto e fanno di Bologna quella che essa è. La Fondazione Carisbo ha deciso di venire incontro a Comune e Università cofinanziando la costruzione di posti letto per studenti. Gli studenti dal canto loro hanno deciso di provare a rimediare, almeno in via temporanea, con la pratica del couchsurfing, lanciando l’idea di una piattaforma elettronica che serva all’organizzazione del pernottamento gratuito sui divani altrui. Da un lato la risposta delle istituzioni della città storica, nel rispetto del costume e all’altezza delle possibilità. Dall’altro la reazione dei destinatari delle iniziative in questione, nuovi soggetti portatori di altri codici di comportamento, connessi ad altre fonti sociotecniche del funzionamento urbano. L’insieme di tali risposte costringe ad ammettere qualcosa che a Bologna ( dove il fuori inizia appena oltre le mura) si stenta ancora a riconoscere a cuor leggero: che anch’essa è una macchina infrastrutturale di natura ibrida, un assemblaggio di logiche economiche senza necessarie affinità nel loro punto di intersezione. O forse sarebbe meglio dire che essa è anche tutto ciò, vale a dire quel che ogni altra città al mondo adesso è. Quel che importa, a Bologna e altrove, è la qualità di tale intersezione. Ed è proprio al riguardo che gli elementi di cui la specificità bolognese si compone attendono la loro adeguata valorizzazione, il loro rilancio, previo il riconoscimento della natura del problema. Vi è un solo modo per evitare, sul piano planetario, la presa delle tendenze centripete riferibili alla governance urbana computazionale al servizio degli interessi multinazionali, il cui primo effetto è quello di relegare nell’ombra le mille conoscenze inscritte nel funzionamento locale: inventariare le intelligenze già all’opera nella città e impostare il governo cittadino come una sfida in grado di mettere al lavoro tale pluralità, iniziando a riconoscere i molti modi in cui l’intelligenza urbana si acquisisce e conserva e nella convinzione che soltanto la sua distribuzione sia in grado di tenere insieme la complessità dell’organismo civico. E forse nessuna altra città al mondo sarebbe più attrezzata di Bologna per riuscire, volendo, nell’impresa.
Pluralità e complessità Bologna è una macchina ibrida, insieme di logiche economiche senza necessarie affinità