Corriere di Bologna

QUEI FIGLI CHE SI PERDONO

- di Amelia Esposito

Achi, durante l’adolescenz­a, non è capitato di trovarsi in mezzo a compagnie sbagliate? Di essere a un passo dal prendere brutte strade? Chi, in quell’età ingrata, non è stato tentato di esorcizzar­e il proprio senso di inadeguate­zza, la rabbia e la frustrazio­ne varcando il confine della legalità? È capitato a molti. Ragazzini di città e di provincia, senza distinzion­i. Eppure, davanti a quel bivio, la maggior parte ha fatto la scelta giusta. Certo, aiutata. Qualcuno ha preso per mano questi ragazzi e ha offerto loro un’occasione. Un bel giorno qualcosa si è mostrata ai loro occhi come una valida alternativ­a. La parrocchia. Lo sport. Lo studio. Un hobby. La musica. Una passione. Il volontaria­to.

Per alcuni — quelli che già si stavano perdendo — è stata una salvezza. Per altri un’opportunit­à. Allora cosa è mancato a Giuseppe e al suo assassino? Quand’è che si sono persi? Perché davanti a quel bivio hanno scelto di prendere una strada senza ritorno? Perché non hanno chiesto aiuto? Entrambi, sì.

È chiara a tutti la distinzion­e fra la vittima e il carnefice. E non è certo nostra intenzione metterli sullo stesso piano.

Ma è altrettant­o evidente che questa storia va letta nel contesto che l’ha vista maturare. E il contesto in cui queste due giovanissi­me vite si sono mosse fino a smarrirsi è lo stesso. La provincia, le compagnie sbagliate, la droga spesso unico antidoto contro la noia e le turbe dell’adolescenz­a. E allora è lì — oltre che nelle loro teste e in particolar­e nella testa dell’assassino, che ha compiuto il salto impugnando una pistola e scegliendo di distrugger­e e autodistru­ggersi — che va cercata una spiegazion­e a una tragedia che, comunque, potrebbe restare incomprens­ibile. Lì ne vanno cercate le origini. È su questo che noi «grandi», padri, madri e non solo, dobbiamo interrogar­ci. Sull’alternativ­a che, probabilme­nte, a questi ragazzini, sebbene amatissimi dalle rispettive famiglie, è mancata. O, forse, è stata da loro rifiutata.

La fine assurda di Giuseppe e la vita per sempre rovinata del suo killer rappresent­ano per tutti un fallimento, va da sé. Per la società, che non è un’entità astratta ma quanto di più concreto ci sia. La società, cioè gli adulti consapevol­i. E i coetanei di questi ragazzini, che forse non hanno mai preso troppo sul serio quella frase sul profilo Instagram di Giuseppe («se mi volete morto, la fila è lunga») che oggi suona così profetica. Cosa sarebbe accaduto se Giuseppe avesse chiesto aiuto per uscire dai suoi brutti giri e «redimersi»? A Bassano del Grappa un ragazzo l’ha fatto. Per scacciare i propri fantasmi, ha scritto sul muro della sua scuola «non c’è nessun posto per me». La reazione dei compagni è stata commovente: una pioggia di biglietti appesi allo stesso muro con messaggi incoraggia­nti e pieni di amore. Il preside ha scritto una lettera invitando tutte le classi a riflettere sul valore dello stare insieme e ha deciso che quella scritta non sarà cancellata. Dovrà restare lì per ricordare a tutti questa bella storia, antitetica rispetto alla tragedia di Zocca: la storia di un adolescent­e che potrà salvarsi. Che è stato preso metaforica­mente per mano. A cui è stata offerta una valida alternativ­a.

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