QUEI FIGLI CHE SI PERDONO
Achi, durante l’adolescenza, non è capitato di trovarsi in mezzo a compagnie sbagliate? Di essere a un passo dal prendere brutte strade? Chi, in quell’età ingrata, non è stato tentato di esorcizzare il proprio senso di inadeguatezza, la rabbia e la frustrazione varcando il confine della legalità? È capitato a molti. Ragazzini di città e di provincia, senza distinzioni. Eppure, davanti a quel bivio, la maggior parte ha fatto la scelta giusta. Certo, aiutata. Qualcuno ha preso per mano questi ragazzi e ha offerto loro un’occasione. Un bel giorno qualcosa si è mostrata ai loro occhi come una valida alternativa. La parrocchia. Lo sport. Lo studio. Un hobby. La musica. Una passione. Il volontariato.
Per alcuni — quelli che già si stavano perdendo — è stata una salvezza. Per altri un’opportunità. Allora cosa è mancato a Giuseppe e al suo assassino? Quand’è che si sono persi? Perché davanti a quel bivio hanno scelto di prendere una strada senza ritorno? Perché non hanno chiesto aiuto? Entrambi, sì.
È chiara a tutti la distinzione fra la vittima e il carnefice. E non è certo nostra intenzione metterli sullo stesso piano.
Ma è altrettanto evidente che questa storia va letta nel contesto che l’ha vista maturare. E il contesto in cui queste due giovanissime vite si sono mosse fino a smarrirsi è lo stesso. La provincia, le compagnie sbagliate, la droga spesso unico antidoto contro la noia e le turbe dell’adolescenza. E allora è lì — oltre che nelle loro teste e in particolare nella testa dell’assassino, che ha compiuto il salto impugnando una pistola e scegliendo di distruggere e autodistruggersi — che va cercata una spiegazione a una tragedia che, comunque, potrebbe restare incomprensibile. Lì ne vanno cercate le origini. È su questo che noi «grandi», padri, madri e non solo, dobbiamo interrogarci. Sull’alternativa che, probabilmente, a questi ragazzini, sebbene amatissimi dalle rispettive famiglie, è mancata. O, forse, è stata da loro rifiutata.
La fine assurda di Giuseppe e la vita per sempre rovinata del suo killer rappresentano per tutti un fallimento, va da sé. Per la società, che non è un’entità astratta ma quanto di più concreto ci sia. La società, cioè gli adulti consapevoli. E i coetanei di questi ragazzini, che forse non hanno mai preso troppo sul serio quella frase sul profilo Instagram di Giuseppe («se mi volete morto, la fila è lunga») che oggi suona così profetica. Cosa sarebbe accaduto se Giuseppe avesse chiesto aiuto per uscire dai suoi brutti giri e «redimersi»? A Bassano del Grappa un ragazzo l’ha fatto. Per scacciare i propri fantasmi, ha scritto sul muro della sua scuola «non c’è nessun posto per me». La reazione dei compagni è stata commovente: una pioggia di biglietti appesi allo stesso muro con messaggi incoraggianti e pieni di amore. Il preside ha scritto una lettera invitando tutte le classi a riflettere sul valore dello stare insieme e ha deciso che quella scritta non sarà cancellata. Dovrà restare lì per ricordare a tutti questa bella storia, antitetica rispetto alla tragedia di Zocca: la storia di un adolescente che potrà salvarsi. Che è stato preso metaforicamente per mano. A cui è stata offerta una valida alternativa.