La prima notte in carcere: «Avevo paura»
L’adolescente: «Non sono cattivo, avevo tanta paura»
Chi ci ha parlato nel carcere del Pratello stenta a credere che questo ragazzino possa aver ucciso un coetaneo, gettato il corpo in un pozzo ed essersi tenuto dentro tutto per 8 giorni. «Non sono cattivo, non ho mai reagito alle provocazioni, ho sparato per paura», ha detto.
Come abbia fatto quel ragazzino magro e gracile, che ora versa tutte le sue lacrime nella cella a piano terra del centro di prima accoglienza del carcere minorile del Pratello, ad ammazzare Giuseppe Balboni, nasconderne il corpo e mantenere il segreto per una settimana, se lo chiedono in molti. Dai vigili del fuoco che hanno dovuto recuperare il cadavere del 16enne dal fisico atletico in una botola strettissima, a operatori, psicologi e agenti di polizia penitenziaria che da martedì sera hanno in custodia l’altro 16enne, l’omicida reo confesso.
«Non sono cattivo, non ho mai reagito alle provocazioni», «ero spaventato, avevo paura, ho visto un coltello» le uniche giustificazioni che il ragazzino di Tiola di Castello di Serravalle ha saputo dare per spiegare quella follia omicida. Perché una ragione seria davvero non si trova. Un adolescente come tanti, con una rasatura da duro tra i capelli che non riesce a nascondere un viso ancora da bambino. Racconta di aver subito per mesi le richieste pressanti di Giuseppe: piccoli favori, bugie da raccontare a casa perché lo coprissero con i genitori. Niente che possa giustificare un omicidio. Eppure la versione dell’adolescente diventato assassino sembra nascondere qualcosa di più profondo: una personalità fragile forse, piegata dai primi screzi con i compagni a scuola, un istituto professionale di Vignola abbandonato prima della fine dello scorso anno scolastico. Qualche presa in giro di troppo, a detta del 16enne in cella, avrebbe scavato un senso di inferiorità sfociato in voglia di vendetta proprio lunedì mattina, quando per l’ennesima volta si è trovato faccia a faccia con Balboni. Qualche giorno prima gli aveva consegnato pochi euro, qualche spicciolo per fare benzina allo scooter, un gesto distensivo per mettere una pietra sopra a mesi di incomprensioni e litigate pregresse, che però non è bastato. Che sia stato per paura, per difesa, o per altri inspiegabili motivi adesso però è la vita di Giuseppe che è finita in fondo a un pozzo. Ed è il 16enne che ora si descrive come un debole ad aver premuto il grilletto, nascosto il cadavere e il motorino e mascherato con freddezza la sua colpevolezza. Può un adolescente così fragile aver tenuto tutto dentro per otto giorni senza crollare? «Da allora non ho mai dormito» si difende lui. É in una delle celle del centro di prima accoglienza del Pratello, dove i minori in stato di fermo vengono trattenuti prima che la convalida ed eventualmente la custodia cautelare gli spalanchino le porte del carcere vero e proprio. È scosso, consapevole della gravità di quello che ha fatto, preoccupato per i genitori e per la sorellina, per il suo e il loro futuro. Piange e fuma qualche sigaretta: niente tv, non è ancora il momento di sbattergli in faccia che fuori di lì lui adesso è un assassino. A fargli compagnia c’è sempre un poliziotto o un educatore, troppo presto anche per lasciarlo da solo. Ieri i genitori sono stati in carcere, ma non hanno potuto incontrarlo. Solo parlare di lui come di un ragazzino che non aveva mai dato problemi in casa, prima di andarsene via mano nella mano, sconvolti dal dolore.