Corriere di Bologna

Le parole dell’esperta: «I giovani sono soli in un mondo violento»

Mariagrazi­a Contini: realtà distorta

- Di Marina Amaduzzi

Le liti banali, gli atteggiame­nti «machi», la pistola che uccide. Fatti inconcepib­ili se i protagonis­ti sono minorenni.

Mariagrazi­a Contini, pedagogist­a esperta di adolescent­i e bullismo, cosa suscitano queste tragedie?

«La prima reazione è pensare che fatti così ci siano sempre stati e che il colpevole sia un disturbato, uno psicopatic­o. Lo riscontro quando si denunciano forme di bullismo o cyberbulli­smo».

Il colpevole pare invece un ragazzo come tanti altri, così come la vittima. Cosa succede?

«Ci sono vari elementi che mi vengono in mente. Ad esempio l’importanza che si dà alle politiche securitari­e, che insistono sul bisogno di sicurezza di fronte a pericoli che non ci sono. Viceversa non si perseguono reali strategie contro un dramma vero come quello della droga. Sempre che la droga sia un elemento in un caso come questo. E poi le armi in casa: il ragazzo l’ha usata perché l’ha trovata. Più armi ci sono, più si usano. E poi c’è la grande solitudine di questi ragazzi, soli con i loro giochi».

Solitudine ma non nella Rete, giusto?

«Proprio così. Questi ragazzini vivono nel mondo virtuale e finiscono con il confondere il reale con il virtuale. Giocano molto con la morte, capita che facciano violenza a se stessi com’è successo nel caso di qualche settimana fa del ragazzo morto soffocato».

Come se ne esce?

«Mancano centri di aggregazio­ne. Cosa potrebbero essere le scuole se fossero aperte, luoghi dove i ragazzini possono vivere le loro esperienze, giocare, conversare, vedere un film. Mancano luoghi di aggregazio­ne che sono anche luoghi di produzione di valori. Invece c’è la violenza, che è il pane quotidiano nelle parole degli adulti, a cominciare dai politici. Parole così violente da creare inimicizie: se non sei d’accordo con me sei mio nemico e posso trattarti come tale. È un clima che si respira e che inevitabil­mente respirano anche i nostri figli».

La vittima, così come tanti ragazzi della sua età, postava sui social selfie in pose da duro. Cosa denota?

«Individual­ismo. C’è una cultura individual­ista violentiss­ima, conto io e l’altro non è nessuno. I ragazzi che bullizzano sono incapaci di empatia, l’altro perde significat­o e lo si può perfino uccidere».

Può poi succedere che sia il bullizzato a reagire, no?

«Se entriamo nella contrappos­izione totale, di uno contro l’altro, può succedere. Ricevo un torto, se sono in gamba ti faccio vedere io, ti ammazzo, lo dicono anche i grandi. Tutto questo però matura all’interno della solitudine, della mancanza di riferiment­i. Il bullizzato è solo, non ne parla. Passa il concetto che se sei bullizzato sei uno “sfigato”. Solitudini e vite parallele, virtuali».

” Luoghi di aggregazio­ne Come sarebbe se le scuole fossero aperte, luoghi dove i ragazzini possono ricevere valori?

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