NON TUTTE LE OPERE SERVONO
Sulla dorsale Torino Trieste si organizza il sistema industriale italiano. Più in particolare, gli indicatori dell’uscita dalla recente crisi evidenziano come le migliori performance si concentrino sul triangolo lombardoveneto-emiliano, dove la densità di imprese esportatrici — grandi, medie e piccole — genera tanta parte del valore aggiunto industriale che ha ridato fiato al PIL nazionale. E non a caso, in questi territori incontriamo tre eccellenze logistiche nazionali: gli interporti di Bologna, Verona e Padova che razionalizzano una parte della mobilità delle merci con servizi efficienti in continua evoluzione, collegati via ferro e gomma a porti e interporti italiani ed europei. Rispetto ad altri partner/competitor europei esistono però alcuni colli di bottiglia infrastrutturali, in parte di natura geografica, legati alla cintura alpina, in parte a una dotazione infrastrutturale sbilanciata e incompiuta, che finora ha privilegiato la rete stradale per la sua flessibilità rispetto alla distribuzione insediativa, urbana e produttiva. La autostrada A4 — componente stradale dell’ex corridoio cinque europeo, multimodale, ora Mediterraneo — a cadenza decennale registra una saturazione dei traffici che spinge oggi verso la quarta corsia in varie sue tratte. La ragione è semplice. La dispersione di Pmi italiane che intrattengono rapporti di mercato con imprese transalpine dell’Est e del Nord privilegia la strada per la sua capacità concorrenziale in termini di tempi e costi rispetto alla ferrovia.
Grazie anche alla forza congiunta delle lobby autostradali e dell’autotrasporto che hanno un chiaro interesse complementare. Al tempo stesso la rete ferroviaria a doppio binario del quadrante Nord Est è rimasta sostanzialmente quella di un secolo fa, tant’è che sulla Venezia Milano — 265 km — oggi si impiegano quasi tre ore, 10 minuti in più del 1960. Per non parlare della Trieste — Milano. Certo il traffico è aumentato ma non può esistere che la dorsale ferroviaria dell’area più dinamica del paese offra le prestazioni del dopoguerra.
Il quadruplicamento della MilanoVenezia è una necessità che qualcuno identifica col termine spregiativo di Tav, marchio di infamia per un’opera ritenuta tanto inutile quanto dispendiosa. Separiamo bene le due cose. Se la ferrovia vuole servire la mobilità di un Paese moderno deve aumentare le sue prestazioni in termini di capacità e di velocità. La tratta mancante, la BresciaPadova per ora limitata a Verona, è un investimento di impatto secolare come sempre lo è la ferrovia, che serve ad aumentare le tracce disponibili e a separare i treni veloci da quelli più lenti, locali e merci. Nella più rosea delle ipotesi potremmo vedere la intera tratta realizzata tra un decennio. Qualcuno può onestamente dire che neppure allora servirà, e per il prossimo secolo a venire? Se così è prepariamoci fin d’ora alla quinta corsia della A4. Ma veniamo ai costi. Si obietta che il preventivo della BresciaPadova è di 60 milioni/chilometro. Non arriviamo ai 70 della Torino-Milano, ma poco ci manca. Rispetto ai partner europei si tratta di circa tre volte. Sacrosanto. Ma tratte come Venezia-Padova (220 km/ora19 milioni/km; Verona-Bologna 250 km/ora-11 milioni/km) hanno un costo in linea con gli altri Paesi, e si tratta di pianure urbane, non di deserti. Mentre per la Venezia-Trieste la velocizzazione fino a 200 km/ora è preventivata a 7 milioni/km. Esiste una differenza? Sì. Queste ultime sono state progettate ed eseguite da Rfi in house, con appalti controllati da tecnici propri. Le altre affidate a consorzi esterni assegnatari da ben venticinque anni che ora rivendicano la titolarità del lavoro, con tutti i subappalti del caso. Ma la questione non finisce qui. Più merci in ferrovia lo dicono tutti, ma solo pochi lo sanno e lo possono fare. Perché per caricare merci su ferro o si dispone di un terminale proprio — come poche grandi aziende — oppure bisogna organizzare piattaforme di carico gomma-ferro in partenza e piattaforme di scarico in arrivo. E in mezzo bisogna che ci siano almeno 300 km di distanza, qualcuno arriva a dire anche 500, su cui impostare sequenze sostenibili di «treno blocco».
L’esempio virtuoso è la VeronaNorimberga che da decenni inoltra via Brennero centinaia di treni blocco la settimana. Ma verso Est tutto si complica: fino a che l’Austria non completerà la tratta alpina dell’Adriatico Baltico oltre Tarvisio e la Slovenia non si deciderà a proseguire il corridoio Mediterraneo verso Budapest non sarà facile. Se va bene ne parleremo fra circa un decennio. Il che nel frattempo non significa fare niente, mentre contiamo gli incidenti dei Tir sulle nostre strade.
La cosa da fare è ragionare subito su di un tema specifico: la logistica di corridoio. Qualcosa che trasportatori e interporti sanno fare per proprio conto ma che se avessero un input pubblico potrebbero fare con più determinazione.