Progettare miracoli per sopravvivere
Come non essere d’accordo con le preoccupazioni del management del Comunale dopo la penalizzazione arrivata a ridosso della chiusura del bilancio. Operare così è penalizzante per qualsiasi azienda.
Questo del Mibac (il Ministero beni artistici e culturali), comunque, è un modus operandi a tutti noto e solitamente ogni fondazione, teatro, associazione si cautela programmando eventuali sorprese. Purtroppo, la gestione della cultura e della musica in Italia deve anche progettare i miracoli per sopravvivere. Da decenni il settore vive una profonda crisi sistemica. Sono lontani gli anni in cui lo Stato aveva a cuore le sorti della cultura e della musica con figure come Giovanni Spadolini (1974 nascita del Ministero per i beni culturali), Achille Corona (governo Moro, legge 800/1967, nascita degli enti lirici) e Lelio Lagorio (governo Craxi, nascita del Fus, legge 163/1985). Il primo repubblicano e gli altri due socialisti. Altri tempi e altro senso dello Stato. Purtroppo, sono poi intervenuti il decreto legislativo 367/1996 voluto da Walter Veltroni (Pd) e la legge 112/2013 voluta da Massimo Bray (Pd), con i quali si è pervenuti al disastro normativo attuale. Come non dare ragione al Sottosegretario Lucia Borgonzoni e a quanto da lei dichiarato ieri su queste pagine. Veltroni ha voluto trasformare ope legis tutti gli “enti lirici autonomi” in “fondazioni di diritto privato” con un “ridicolo escamotage giuridico” (Paolo Isotta, Il Fatto Quotidiano) e con una riforma privatistica lasciata a metà del guado. Risultato: spesa fuori controllo. Il problema, sappiamo, non sono i dipendenti ma bensì il management con sovrintendenti scelti dalla politica, spesso di provenienza sindacale, e direttori artistici improvvisati a cui Veltroni ha contribuito allargando la scelta anche ai “musicologi” (articolo 13/d) e depotenziandone il ruolo a favore del sovrintendente. Ergo: nei teatri non comanda più la musica ma la politica. Due enormi fesserie che hanno contribuito ad affossare le fondazioni. Che si abbia il coraggio ora di ritornare nel merito, con una profonda riforma, al dettato della Legge Corona scegliendo il direttore artistico solo “fra i musicisti più rinomati e di comprovata competenza teatrale” (legge 800/1967, art. 12) fornendogli poi peso politico e gestionale all’interno del Consiglio di Amministrazione (ora di Indirizzo). Il quadro poi l’ha completato il ministro Massimo Bray (PD, governo Letta) e il suo Art. 11 della legge 112/2013 confezionata ad hoc per salvare innanzitutto Firenze (Renzi è di quelle parti) a cui si sono poi aggiunte, data la ghiotta occasione, quasi tutte le altre fondazioni. Nel piatto 75 milioni di euro poi lievitati a quasi 140. Considerando che sono soldi dei cittadini e che questi sovrintendenti andavano cacciati anziché salvati, c’è da vergognarsi. Essi, sono sempre gli stessi, che si spostano da una fondazione all’altra con protezioni a tutti i livelli, tutti impuniti e bravissimi a chiudere i bilanci in perdita. Ora ci si augura che il nuovo Governo abbia la progettualità per rifondare lo spettacolo dal vivo con vigore, coraggio e visione politica mettendo mano alla normativa che regola tale comparto. Servono nuove regole, una visione per la governance, minore tassazione, flessibilità nel rapporto di lavoro e semplificazione delle procedure. Tutto ciò, per innovare un settore ormai al collasso e aiutarlo a rinnovarsi a progredire a liberarsi da solo dal debito pregresso e procedere speditamente verso il proprio rilancio. Certo, politicamente è un lavoro urticante, ma tant’è se vogliamo salvare il settore. Recentemente il Ministro Alberto Bonisoli in una intervista video ha dichiarato “la mia attenzione verso le strutture liriche è molto alta e mi ci dedicherò con particolare impegno”. La speranza è molta e ci rincuora il fatto che non è in scadenza ma ha davanti una lunga legislatura ancora tutta da riempire e, soprattutto, una compagine governativa con importanti numeri in parlamento. Buon lavoro Ministro, non ci deluda.